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Salute. Morbillo, casi quintuplicati in un anno. Tutte le ragioni dell'allarme

Viviana Daloiso giovedì 4 maggio 2017

L'allarme lanciato appena una decina di giorni fa dall'Organizzazione mondiale della sanità trova conferma nei nuovi dati, diffusi con l'ultimo bollettino di sorveglianza sul morbillo del ministero della Salute e dell'Istituto Superiore di Sanità. Ad aprile si sono registrati 385 nuovi casi (29 nell'ultima settimana), un dato in netto calo rispetto a marzo (quando i casi sono stati addirittura 818) ma comunque superiore di 5 volte rispetto all'aprile 2016, quando si fermarono a 76.

Dall'inizio dell'anno, cioè in appena 4 mesi, si contano già 1.920 malati: per avere un termine di paragone, nel 2016 si contarono circa 800 casi in tutto l'anno. Di questi 1.920 nuovi casi, l'88% fa riferimento a persone non vaccinate. E che il morbillo non sia uno scherzo lo confermano i numeri: il 34% dei malati ha almeno una complicanza, il 40% sono stati ricoverati, il 15% sono finiti al pronto soccorso. L'età media è elevata, rispetto alla tradizionale concezione "infantile" della malattia: 27 anni. Si contano anche 127 casi tra gli operatori sanitari. La regione più colpita è il Lazio, con 570 casi, seguita dal Piemonte (429) e dalla Lombardia (242). Pochissimi casi al sud: 57 in Sicilia, appena 18 in Calabria, 8 in Puglia, 1 in Basilicata e 12 in Campania.

Italia maglia nera in Europa

I numeri sono da capogiro ovunque, nel Vecchio Continente. Dove tra il primo marzo 2016 e il 28 febbraio 2017 i casi di morbillo registrati sono stati 6.186, di cui 1.500 soltanto negli ultimi due mesi (più del doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso).
Ma è l’Italia a entrare ufficialmente nel “mirino” dell’Organizzazione mondiale della sanità, visto che ben 1.387 casi di morbillo in un anno si sono verificati qui: è il numero più alto in Europa, secondo solo al dato della Romania (2.702 infezioni) e ben superiore a quello di Germania (365), Polonia (145), Francia (126), Svizzera (105), Belgio (92) e Austria (89). In percentuale, significa il 22% del totale.

In particolare ciò che risulta allarmante agli occhi dell’Oms è il rapido trend di crescita dei casi italiani di morbillo: si passa dai 265 di gennaio ai 419 registrati a febbraio. Per intendersi: a dicembre 2016 erano 90, a novembre 84, a ottobre 76, a settembre 56. Sul banco degli imputati, manco a dirlo, i vaccini. La “ferita” a dire il vero non è soltanto italiana: a livello globale 19,4 milioni di bambini nel mondo non sono ancora pienamente protetti da malattie facilmente evitabili e prevenibili dai vaccini. Tra queste spicca il morbillo. Nonostante infatti sia disponibile un vaccino sicuro ed efficace (che tra il 2000 e il 2015 si stima abbia salvato oltre 20 milioni di vite), quest’ultimo resta una delle principali cause di morte tra i bambini. Di

Di morbillo si muore (367 volte al giorno)

Perché sì, il morbillo uccide. Per complicazioni, per mancanza di cure adeguate e tempestive (nelle zone più povere), per virulenza. Nel 2015 ci sono state nel mondo 134.200 vittime della malattia infettiva, nella maggior parte dei casi bambini al di sotto dei 5 anni. Vuol dire 367 morti ogni giorno, 15 morti ogni ora. E se è vero che nel 2015 circa l’85% dei bambini nel mondo ha ricevuto una dose di vaccino contro il morbillo entro il primo anno di vita (nel 2000 la copertura era del 73%), vero è anche che dal 2010 a oggi l’aumento della copertura globale è stata appena dell’1%. Un progresso molto lento, che mette a repentaglio proprio la salute dei più piccoli. «Ci sono ancora oggi Paesi del mondo dove la vaccinazione ancora stenta a superare la quota dell’80%» denuncia l’Oms, sottolineando il gap ancora forte rispetto al 95% necessario per assicurare protezione dalla malattia su larga scala. Dei 10,7 milioni neonati che nascono ogni anno in Europa, circa 650mila non ricevono la serie completa delle tre dosi di vaccino contro difterite, tetano e pertosse nel primo anno. E in Italia – questi gli ultimi dati diffusi dal ministero della Salute – nel 2015 la copertura vaccinale nei bambini a 24 mesi è stata dell’85,3%. Con alcune zone che non arrivano nemmeno al 70%.