Attualità

Astronomia. Buco nero: l'importanza di quella fotografia

Davide Re venerdì 13 maggio 2022

Comparazione tra M87 (a sinistra) e Sagiuttarius A (a destra) con il raggio del Sole, le orbite di Mercurio e di Plutone e la distanza dalla Terra raggiunta dalla sonda Voyager

Le proprietà della luce e la qualità della tecnologia a disposizione per la ricerca svelano all’umanità la fascinazione dei buchi neri, ovvero quei corpi celesti in grado di generare dei campi gravitazionali così intensi da non lasciar sfuggire dal loro interno né la materia, né la radiazione elettromagnetica. Da ieri infatti uno di questi oggetti ha finalmente una sua rappresentazione, dopo cinque anni di lavoro, perché gli scienziati sono riusciti, attraverso una sofisticata strumentazione e a raffinatissimi radiotelescopi, a scattare una “fotografia” del buco nero supermassiccio che si trova al centro della nostra galassia, ovvero la Via Lattea. Questo risultato è una prova schiacciante dell’esistenza di questi corpi celesti e la conferma di quelle teorie – come la relatività generale di Albert Einstein – che assegnano ai comportamenti dei buchi neri dei ruoli importanti, soprattutto da un punto di vista gravitazionale, per la vita stessa delle galassie. A ottenere questa immagine, grazie a una rete globale di radiotelescopi, è stata appunto la collaborazione tra gli scienziati del progetto Event Horizon Telescope (Eht) di cui fanno parte anche ricercatrici e ricercatori italiani dell’Istituto nazionale di Astrofisica (Inaf), dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare (Infn), dell’Università Federico II di Napoli e dell’Università di Cagliari. Siccome da un buco nero, per le forze gravitazionali che genera, non può sfuggire nemmeno la luce, l’attesissima immagine che mostra finalmente questo oggetto massiccio che si cela al centro della nostra galassia evidenzia in realtà tutto ciò che invece si “vede” oltre il suo contorno, quello che viene chiamato appunto “orizzonte degli eventi”. Già in passato tuttavia gli astrofisici avevano scoperto stelle che si muovevano intorno a un corpo invisibile, compatto e molto massiccio al centro della Via Lattea. Quelle osservazioni del 2017 hanno suggerito che l’oggetto in questione, Sagittarius A (Sgr A), fosse un buco nero, poteva esistere per davvero e l’immagine resa pubblica ieri ha fornito la prova regina di questa tesi. Un altro buco nero – M87 galassia ellittica gigante Virgo A – in passato era stato “fotografato” ma non si trovava nella nostra galassia ma in un’altra. Quello di ieri è un successo internazionale ma anche italiano. Non solo: il risultato ottenuto con la foto del buco nero, in questo periodo di contrapposizione bellica tra Russia e Occidente, evidenzia come il progresso dell’umanità in campo scientifico non può prescindere dalla collaborazione fra ricercatori e strutture di tutto il mondo, come per esempio sta avvenendo con l’esplorazione di Marte e degli altri pianeti del nostro sistema solare, in particolare per le lune di Saturno (Europa ed Encelado) che potrebbero avere caratteristiche in grado di ospitare la vita. «È uno straordinario risultato della cui portata riusciremo a renderci conto davvero solo con il tempo. Complimenti al grande e globale gruppo di lavoro che ha consentito di raggiungerlo e, all’interno di questo, alle scienziate e agli scienziati italiani – dice la ministra dell’Università e della ricerca Maria Cristina Messa –. Questa scoperta dimostra come le reti collaborative di ricerca internazionale siano fondamentali per il progresso di tutti, di come sia importante per l’Italia farne parte investendo in modo continuo e stabile negli anni, e di come si debba fare uno sforzo per preservare queste reti anche in momenti di crisi. Questo risultato ci ricorda anche che la ricerca ha i suoi tempi e a questi dobbiamo avere la pazienza di adattarci, consapevoli che ne varrà sempre la pena».

Milioni di immagini combinate, 300 ricercatori da tutto il mondo

«La variabilità è uno degli aspetti critici di Sagittarius A: se da un lato rappresenta una grande sfida per la produzione di immagini del centro galattico, dall’altro ci fornisce uno strumento fondamentale per l’indagine dei processi fisici che vi hanno luogo ». Nicola Marchili, ricercatore del-l’Istituto nazionale di Astrofisica (Inaf), che ha lavorato sui dati riguardanti la “variabilità temporale” del buco nero, traccia un primo bilancio del formidabile lavoro prodotto dal team di scienziati che compongono il progetto Event Horizon Telescope (Eht). Perché il gruppo di lavoro, aggiunge Rocco Lico, associato Inaf e ricercatore presso l’Instituto de Astrofìsica de Andalucìa, in Spagna «ha prodotto milioni di immagini con diverse combinazioni di parametri per i vari algoritmi di imaging, usando grandi infrastrutture di calcolo. In questo processo, è stata anche compilata una biblioteca senza precedenti di buchi neri simulati da confrontare con le osservazioni». I dati, la mappatura di questi oggetti e la rielaborazione delle informazioni, è stata possibile grazie all’uso dei radiotelescopi e di potenti dispositivi di calcolo, ma soprattutto con il lavoro di oltre trecento ricercatori e ricercatrici di ottanta istituti in tutto il mondo che insieme formano la Collaborazione Eht. «Ottenere questa immagine è sempre stato il nostro obiettivo sin dall’inizio del progetto e poterla rivelare al mondo oggi ci ripaga di tanti anni di duro lavoro», sostiene Ciriaco Goddi, docente presso l’Università degli Studi di Cagliari, associato Inaf e Infn, che fa parte di questa impresa sin dal 2014, come coordinatore del gruppo europeo di BlackHole-Cam, uno dei progetti da cui ha avuto origine la Collaborazione Eht. La rete Eht è in continua espansione e oggetto di importanti aggiornamenti tecnologici: così potremo avere immagini ancora più impressionanti e addirittura filmati di buchi neri nel prossimo futuro», afferma ancora Goddi. Il lavoro di Eht, infatti, non si ferma: lo scorso marzo è stata condotta una nuova campagna di osservazione che include tre nuovi radiotelescopi. I ricercatori e ricercatrici sono entusiasti di avere finalmente le immagini di due buchi neri di dimensioni diverse – M87 e ora Sagittarius A – perché hanno un’opportunità per comprenderne somiglianze e differenze. Hanno anche iniziato a usare i nuovi dati per mettere alla prova la teoria e i modelli che descrivono il comportamento del gas intorno ai buchi neri supermassicci, un processo ancora non del tutto compreso ma ritenuto chiave nella formazione ed evoluzione delle galassie nell’Universo.