Attualità

Disumanità. Migranti salvati e deportati nel nulla, dalla Tunisia in Libia (video)

Nello Scavo sabato 2 ottobre 2021

Da quasi una settimana i più fortunati tentano di sopravvivere tra la sabbia e i sassi senza quasi più acqua né cibo in una zona desertica al confine tra Tunisia e Libia.

Il loro “salvataggio” si è infatti concluso con la deportazione in mezzo al niente. Agli altri è andata peggio: sono stati consegnati ai trafficanti libici.

È accaduto lunedì scorso quando sette barconi, quattro con a bordo persone di origine subsahariana e tre carichi di tunisini, hanno preso il mare lasciandosi alle spalle l’arcipelago delle isole Kerkennah, al largo di Sfax. Dopo 12 ore di navigazione la piccola flotta di migranti è stata intercettata dalle unità marittime della Guardia Nazionale Tunisina. Tutte le persone sono così state riportate sulla costa tunisina.

Secondo le testimonianze raccolte da diversi operatori umanitari, le persone di nazionalità tunisina sono state rilasciate, mentre gli africani subsahariani sono stati deportati sul confine libico. «Secondo le nostre fonti, il gruppo di stranieri era composto da un centinaio di persone, tra cui diverse donne e minori. Almeno tre delle donne erano incinte», spiegano alcuni legali per i diritti umani che stanno cercando di ottenere un intervento di assistenza urgente.

Le immagini riprese col telefonino​

Le immagini video consegnate ad Avvenire e riprese dagli stessi migranti, mostrano un gruppo di persone all’interno di un edificio privato. In altri filmati si vedono dei subsahariani abbandonati nel nulla. La posizione geografica che sono riusciti a trasmettere con il loro telefono, li colloca su una lingua di terra sabbiosa e arida a ridosso del confine Nord tra Tunisia e Libia.

Nessuno aveva intenzione di rientrare nell’inferno dei campi di prigionia dei clan libico. Ma non hanno avuto scelta. Quando hanno tentato di fuggire, dalla parte tunisina sono state sparate raffiche che hanno spinto gli stranieri verso l’unica via di fuga, in direzione proprio della Libia. Solo alcuni sono riusciti a raggiungere la boscaglia e riparare tra i terrapieni dove sono stati lasciati senza alternative: uscire allo scoperto e venire catturati oppure tornare verso Zuara, in Libia.

In una nota congiunta di diverse associazioni, tra cui il “Forum tunisino per i diritti umani”, “Medecins du monde”, “Avvocati senza frontiere” e l’italiana “Asgi”, spiegano che «all’arrivo al confine con la Libia, gli ufficiali della guardia nazionale tunisina avrebbero costretto i migranti sotto la minaccia delle armi ad attraversare il confine con la Libia».

Trafficanti sempre pronti a sequestrare e ricattare​

Una volta attraversato il confine, un primo gruppo di migranti è stato catturato dai trafficanti in territorio libico. Una prassi ordinaria, con cui le milizie si approvvigionano di prigionieri da avviare alla tortura a scopo di estorsione e di nuovi schiavi per gli affari dei clan.

«Secondo le nostre fonti – aggiungono le organizzazioni che hanno raccolto testimonianze dirette in Tunisia e Libia – i migranti sono attualmente detenuti non lontano dalla frontiera, a Zouara, in una casa privata. Si dice che i rapitori abbiano chiesto circa 500 dollari a testa per il loro rilascio. Un altro gruppo di migranti, inizialmente bloccato a Ras Jedir. I loro telefoni, che sono irraggiungibili, sarebbero stati confiscati. Si dice che ci siano due donne incinte in questo gruppo, compresa una donna di otto mesi».

Alcuni degli stranieri acciuffati in mare e poi abbandonati senza alcuna assistenza hanno raccontato che la polizia tunisina avrebbe prelevato i loro passaporti e i telefoni cellulari senza più restituirli. Tuttavia qualcuno è riuscito a nascondere il telefono da cui si è poi messo in contatto alcuni conoscenti.

Una donna incinta costretta a partorire all'aperto​

Nelle immagini si vede anche una donna costretta a partorire all’aperto, con il solo aiuto di un uomo che l’accompagna. Le forze armate, che avrebbero assistito al parto, li hanno poi trasferiti all’ospedale Ben Gardane, l’ultimo posto sanitario prima di entrare in Libia.

Non si tratterebbe della prima volta. Altre testimonianze riferiscono di un’altra deportazione sommaria verso la Libia, avvenuta alla fine di agosto, che ha coinvolto anche molte donne e minori.

70 persone sparite nella Sar Maltese. La Valletta sotto accusa​

È allarme nel Mediterraneo: da quattro giorni ormai, informa la Ong Alarm Phone, una barca con 70 persone a bordo è dispersa, dopo essere partita da Khoms, in Libia. I migranti hanno contattato l’organizzazione «molte volte». «Abbiamo perso i contatti quando erano in Sar maltese, 11 miglia dalle acque italiane. Non c’è conferma del loro soccorso o arrivo. Le autorità tacciono», accusano i volontari.

«Come possono 70 persone sparire in mare, a poche miglia da terra? Cosa è accaduto? Perchè le autorità maltesi e italiane rifiutano sia di soccorrere che di dare informazioni sulla loro sorte? Sono state lasciate morire in mare? Sono state respinte in Libia?», si chiedono su Twitter gli operatori umanitari.

Intanto il maltempo non ferma gli sbarchi a Lampedusa. Dopo il barchino con 13 persone a bordo, tra cui 2 donne e 3 minori, e una pecora, altre due carrette del mare sono state intercettate al largo dell’isola. Tra loro anche un neonato di quattro mesi. Era a bordo di un’imbarcazione con altre 14 persone, tra cui 2 donne, provenienti dalla Tunisia e un libico. (Redazione Cronaca)

La giornata della Memoria e dell'Accoglienza​

Questa domenica, in occasione della Giornata Nazionale della Memoria e dell’Accoglienza, si ricordano in Italia le 368 vittime - tra cui 83 donne e 9 bambini - morte nel tragico naufragio al largo di Lampedusa il 3 ottobre 2013, e quanti come loro hanno perso la vita nel tentativo disperato di trovare sicurezza e protezione in Europa. Nonostante la risposta all’emergenza attivata da quell’evento, sono ancora tanti i morti e dispersi nella rotta del Mediterraneo centrale. Secondo i dati del progetto Missing Migrants dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), solo nel 2021 si stima siano oltre 1.100, per un totale di circa 18.400 dal 2014 a oggi. È quanto sottolineano in una nota Oim, Unhcr e Unicef. (Redazione Cronaca)