Attualità

Migranti. Rebus Malta, casa di scafisti ma anche di volontari

Nello Scavo, inviato a La Valletta (Malta) giovedì 22 novembre 2018

Un salvataggio in mare (Croce Rossa Italiana)

Sotto ai possenti bastioni che svettano tra gli scogli il porto de La Valletta spiega quasi tutto dell’isola: cale nascoste, moli al riparo dai ficcanaso, vicoli che risalgono nel labirinto della città vecchia. E una distesa di panfili che i miliardari di ogni dove vengono ad accasare al riparo dalle tassazioni europee. L’isola-Stato, però, non ha perso la proverbiale attitudine a negoziare la propria tranquillità come faceva ieri con i bucanieri ed oggi con pirati finanziari, contrabbandieri, uomini d’affari che sbarcano senza un biglietto di ritorno, e trafficanti di uomini. La regola non è cambiata: poche domande.

Nell’ex colonia inglese sono due le categorie di indesiderati: i giornalisti curiosi e i migranti. Ancora peggio se i cronisti fanno domande sui traffici illeciti che non di rado prosperano anche grazie al mercato degli esseri umani. Come Daphne Caruana Galizia, la reporter investigativa uccisa con un’autobomba il 16 ottobre 2017. Nelle sue inchieste spesso aveva individuato gli anelli di congiunzione tra criminalità economica e politica, contrabbandieri di petrolio libico ed emissari degli scafisti.

Non bisogna allontanarsi troppo dal centro per annusare tra i 460mila residenti i silenzi che coprono gli affari sporchi di chi specula sulle vite degli ultimi. Ufficialmente, a Malta, non avvengono sbarchi fantasma di migranti. I pochi che approdano sono tutti identificati e accompagnati in centri d’accoglienza da cui usciranno nel giro di qualche settimana per venire collocati in altri Paesi Ue. Questa, almeno, la versione preconfezionata. Ma nel quartiere collinare di Hamrun, tutti sanno che non è così.

Il 4 novembre gli agenti hanno fatto irruzione in una delle “case dei neri”. Un edificio di tre piani nel quale erano stati nascosti 31 migranti e profughi. Un’intera palazzina adibita a nascondiglio che gli stranieri avrebbero lasciato un po’ alla volta, a bordo di insospettabili imbarcazioni da diporto o di navi commerciali dirette verso il continente. Non è la prima volta che accade. Gli stranieri dormivano nel garage, in cucina, nel soggiorno che affaccia sulla distesa di tetti che guardano al mare. Impossibile che nel dedalo di strade strette e case addossate una all’altra nessuno avesse visto. Eppure, interrgoati sul blitz, i residenti sgranano gli occhi: «Non sapevamo».

Le tensioni tra le autorità della Valletta e Roma ci sono sempre state, ma l’avvento del governo legastellato le sta acuendo. Colpa, soprattutto, della gestione della Sar, l’area marittima di ricerca e soccorso maltese, che arriva a ridosso delle coste lampedusane.

La grandeur maltese negli anni ha fatto della Sar uno status symbol da far valere ai tavoli internazionali. Ma la crisi migratoria ha posto problemi nuovi. L’isola si trova a soli 80 chilometri dalla Sicilia, a 284 alla Tunisia e a 333 dalla Libia. Il controllo navale si estende per un’aerea 750 volte più estesa del proprio territorio. Come se l’Italia, in proporzione, avesse giurisdizione sull’oceano Atlantico e quello Indiano messi insieme. Basta questo per capire come per la guardia costiera locale sia pressoché impossibile vigilare su tutte le rotte.

Inoltre, Malta non ha mai firmato – e nessuno glielo chiede – le integrazioni alla convenzione marittima di Amburgo, lasciandosi così le mani libere dall’obbligo di portare sulle proprie coste i migranti intercettati. L’ultimo scontro con l’Italia è del 10 novembre, quando a Lampedusa sono sbarcati 13 tunisini con indosso giubbetti di salvataggio e altro equipaggiamento fornito dalla Guardia costiera maltese. La prova, secondo Matteo Salvini, che Malta non soccorre i migranti e li spinge verso l’Italia.

L’atteggiamento dell’ex colonia britannica guidata dal premier Joseph Muscat resta ambiguo. Alcune Ong hanno base nell’isola, dove le navi (come quella dei tedeschi Sea Watch) hanno a lungo usato lo scalo marittimo per le operazioni di rifornimento ed equipaggiamento.

Ma i volontari delle Ong vivono nei quartieri portuali senza farsi troppo notare in giro. Niente insegne, niente divise, niente meeting in pubblico. «Se non dai fastidio – riassume un volontario britannico – a Malta c’è sempre posto, qualunque siano i tuoi affari», riassume un volontario. Che di migranti (regolari e irregolari) ce ne siano molti di più di quanto le autorità non vogliano far credere lo dimostra anche la clinica mobile donata un anno fa dal Sovrano Ordine di Malta alle autorità, e il mezzo non ne è certo stato in garage. Per le strade, però, non è scontato incontrare un nero. Ad esclusione dei taciturni uomini d’affari con un passaporto britannico.

Nel porto vecchio è ormeggiata Lifeline, la nave dell’omonima Ong tedesca sequestrata perché il 19 giugno aveva condotto sull’isola 233 migranti rifiutandosi di riconsegnarli alla Guardia costiera libica. L’intero equipaggio è finito sotto processo a La Valletta. Ma la politica del paso doble è un vizio che la politica maltese padroneggia da secoli. Così, mentre con una mano ostacola e boicotta le Ong che prima aveva accolto, con l’altra l’esecutivo incassa il plauso del volontariato per avere varato una norma che dovrebbe facilitare la concessione della residenza agli immigrati. «Siamo lieti di dare il benvenuto alla politica di autorizzazione alla residenza», dicono dal Servizio dei gesuiti per i rifugiati (Jrs), una delle organizzazioni più attive nell’accoglienza, e non di rado presa di mira da gruppi oltranzisti. Loro sì, di casa e indisturbati.