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L'intervista / 2. Nicola Rossi: «Meglio di niente, ma non è una vera privatizzazione»

Eugenio Fatigante sabato 25 gennaio 2014
Le care, vecchie Poste privatizzate?
«Usiamo i termini giusti – premette nella risposta Nicola Rossi, tornato a fare il docente di economia a Tor Vergata dopo essere stato per tre legislature parla­mentare (del Pd, poi gruppo misto) e presi­dente di ItaliaFutura –: tecnicamente, la priva­tizzazione si ha solo con la cessione effetti­va del controllo di un’a­zienda. In questo caso, invece, il controllo del­lo Stato rimane di fatto completo».
Questa allora cos’è? ​Solo una cessione per fare cassa?
Praticamente. O me­glio, per ridurre il debi­to pubblico. Detto ciò, è senz’altro meglio questo che niente.
Però, guardando alle cessioni future, lo Sta­to rinuncia anche ai dividendi.
Guardi, in un Paese che ha un debito quasi al 133% del Prodotto in­terno lordo, tutto ciò che va nel senso di ri­durre il perimetro del­lo Stato è solo benve­nuto. Non si dovrebbe nemmeno perdere tempo a discutere.
Eppure proviamo a farlo. D’altronde, lei stesso non sembra entusiasta.
Non lo sono per le tecnicalità dell’operazione. Oltre alla manca­ta cessione del controllo, è per me evidente che sarebbe stato più utile – prima di procedere a questa dismissione – separare le at­tività finanziarie da quelle postali, da regolare in modo distinto. Ma ci sono evidentemente ragioni molto meno apparenti che hanno consigliato di lasciare le cose così.
Quali ragioni?
Penso che ci sia stato un patto con il sindacato, che è storica­mente forte dentro Poste: deve aver dato il suo assenso solo a queste condizioni.
E le azioni date ai dipendenti?
Vedremo come avverrà questo processo e quali saranno le mo­tivazioni. Comunque ho l’impressione che sia anch’essa una mer­ce di scambio.
Peraltro si va a incidere in un settore ancora non liberalizzato.
È un’altra pecca. Una buona liberalizzazione non prevede che un’azienda a maggioranza pubblica operi in settori liberalizzati e in concorrenza con soggetti privati. Peraltro, in questa dismis­sione starei attento a valutare anche il rendimento e l’efficienza del servizio: malgrado i progressi dell’azienda, sono ancora lon­tanissimi dagli standard europei.
Cosa vede allora di positivo in questa mossa?
In ogni caso nel management entreranno altri amministratori, e questo implicherà più disciplina perché dovranno render conto a diversi azionisti, non più solo al Tesoro. 
Passiamo alle privatizzazioni future: cosa andrebbe fatto?
Quello che è già noto. C’è un elenco sterminato di municipaliz­zate che, se le andiamo a guardare da vicino, in molti casi sono aziende già in crisi, perché decotte. Con esse cresce solo la spe­sa pubblica e si alimenta l’ingerenza della politica. È come se lo Stato spendesse, in modo indiretto e molto opaco, per dei sussi­di di disoccupazione.
Il giudizio sull’altro provvedimento del Consiglio dei ministri, quello sul rimpatrio dei capitali?
Il tema dei rapporti con la Svizzera andava affrontato. Più che al­tro, sarebbe interessante utilizzare questi capitali per fondi da dedicare alle imprese, in modo da supplire alla carenza di credi­to. Ma forse sarebbe un’operazione troppo complessa. Anche se noto che il governo ha garantito comunque che ci sarà una fina­lizzazione 'utile'.
Il governo ha affrontato anche il capitolo delle detrazioni fi­scali, rinviando il taglio. Questo è positivo?
Al contrario. È un pessimo segnale perché lo Stato perde un ri­sparmio. Temo che possa preludere a un altro aumento delle tasse. Il governo ha promesso però che troverà le risorse con la revi­sione della spesa. Vedremo. Il banco di prova dei nuovi attori della maggioranza e, più in generale, dell’intera Terza Repubblica sarà proprio il pro­cesso qualificante di revisione della spesa. Altrimenti, temo che tutto resterà come prima.