Attualità

PIANETA FAMIGLIA. Adottati adulti, a Bologna il primo meeting nazionale

Benedetta Verrini sabato 22 giugno 2013
Hanno dai 20 ai 40 anni, vivono in città diverse. Studiano, lavorano, molti sono single, altri si sono sposati e hanno avuto figli. Li accomuna un’esperienza fondamentale: sono stati adottati. E adesso hanno deciso di incontrarsi. Succede al primo Meeting nazionale degli adottivi adulti, in corso oggi a Bologna. Organizzato dal Ciai, il più antico tra gli enti italiani – e inevitabilmente quello con il catalogo generazionale più vasto – il raduno è aperto a tutti, con l’obiettivo di dare voce, una volta tanto, ai protagonisti di questa esperienza di vita.Secondo una stima abbastanza realistica, dagli anni Sessanta a oggi oltre centomila minori – tra l’adozione nazionale e quella internazionale – hanno trovato una famiglia. Dei tanti che oggi sono diventati adulti si parla poco, quasi l’adozione si esaurisse nell’istante dell’incontro tra il bambino e i suoi genitori. Ma quanto un vissuto adottivo può influire sulle scelte di un’intera vita? Quanto è necessario, a un certo punto, cercare la madre biologica? E c’è qualcuno, tra loro, che si sente straniero in patria?«Si tratta di domande fondamentali per capire dove va l’adozione e noi siamo molto ansiosi di ascoltarli», dice la presidente del Ciai, Paola Crestani. «Pochi anni fa abbiamo fatto una ricerca sui nostri adottati adulti: è emersa una sostanziale soddisfazione della vita che si sono costruiti».Dal piccolo ma significativo campione emergeva il ritratto di una generazione tendenzialmente più istruita della media italiana, in gran parte già impegnata in un’attività lavorativa, un po’ in ritardo rispetto alla costruzione di una famiglia propria, ma con sentimenti di affetto assoluto verso i genitori e una totale adesione alla cultura italiana. «Un’immagine davvero rassicurante, anche se dietro questa riuscita c’è sempre un grandissimo lavoro della famiglia, degli insegnanti, di tutta una rete che ha lavorato per supportarli», aggiunge Crestani. Gli adottati infatti «risentono inevitabilmente della percezione sociale che vive l’adozione», commenta lo psicoterapeuta Marco Chistolini. «Questa esperienza gode di una connotazione molto positiva ma, nello stesso tempo, sconta un pregiudizio diffuso, quello che la famiglia adottiva non sia proprio quella "vera" e che il legame di sangue resti più importante».A ciò si sovrappone, per i tanti adottati di origine straniera, il razzismo strisciante di un’Italia sempre più diffidente. «Si tratta di piccoli episodi quotidiani, in sé trascurabili, ma che ogni giorno ti rammentano la tua diversità», ha testimoniato Vassanth, un giovane adottato indiano. «C’è la signora sul tram che controlla la borsetta se inavvertitamente l’hai sfiorata; il controllore che si rivolge con il tu o le occasioni in cui ti richiedono il permesso di soggiorno che non hai mai posseduto, perché sei cittadino italiano».E se gli adulti testimoniano difficoltà, la preoccupazione degli esperti si concentra sull’integrazione dei nuovi adottati. Non a caso, anche in Italia le adozioni internazionali stanno vivendo un momento di flessione, con un calo del 23% nell’ultimo anno. «Per la Commissione adozioni internazionali questo meeting rappresenta una testimonianza importantissima», sottolinea la vicepresidente Daniela Bacchetta. «Ci aiuta a guardare al futuro, ai bambini che arriveranno e che sono già diversi da quelli accolti quarant’anni fa. Oggi l’adozione si evolve in un quadro globale complesso, in cui l’aspetto della sussidiarietà è sempre più marcato». Per questo la Commissione sta elaborando un nuovo progetto di ricerca sull’adolescenza, considerando quanto possa incidere l’età dell’adozione nel percorso di crescita dei bambini. Anche pensando a loro, che sono all’inizio del cammino, gli adulti adottati sono usciti allo scoperto. «Siamo tutti pionieri», ha dichiarato una delle testimoni. «E siamo simboli reali che l’adozione è una storia d’amore».