Attualità

La storia. Mauro e Marta cuori senza capanna

Alessia Guerrieri lunedì 21 luglio 2014
Quarant’anni lui, trenta lei. Dieci di fidanzamento e poi dritti all’altare per coronare il sogno di essere eternamente l’uno dell’altro. Quella di Mauro e Marta sembra una storia d’amore come tante, peccato che loro sono speciali, perché sono una delle prime coppie di sposi con sindrome di down in Italia. Dopo il matrimonio il 6 luglio ora sono in viaggio di nozze, ma a settembre quando torneranno a Roma inizieranno i problemi, perché non hanno un posto dove vivere. La casa-famiglia a bassa assistenza che li ha ospitati finora non può più accoglierli – ha dovuto rivedere il proprio progetto per motivi di sostenibilità economica – ed è difficilissimo trovate per loro una stanza in affitto. Non chiedono appartamenti gratis, ma certo un alloggio adatto ai loro stipendi e una maggiore facilità di accesso a quelli degli enti pubblici. Per i disabili così alla complessa questione del “dopo di noi”, oggi si aggiunge anche – e la storia di Mauro e Marta lo dimostra – tutta la questione del “durante noi”, che vuol dire diritto alla casa e al lavoro. E a una vita autonoma.«Ci piacerebbe che qualche ente cominciasse a dare il buon esempio, uscendo allo scoperto e mettendo a disposizione una casa per Mauro e Marta», è l’appello di Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’Associazione italiana persone down, per avere una sempre maggiore disponibilità di case a costo agevolato o anche semplicemente un più facile ingresso a quelle degli enti. Così si potrebbero avere molte più coppie felici di fare il grande passo. «Forse non tutti sanno – aggiunge – che oggi in Italia il 60% delle persone down ha già superato i 18 anni». Il tema dell’abitare perciò «ci interroga con urgenza» e va affrontato «solo con creatività», suggerisce Contardi, integrando professionisti e volontariato, «valorizzando tutte le risorse possibili». Diritto a una vita indipendente, ma anche risparmio per il pubblico. Investire in un momento di crisi sull’autonomia possibile di molti disabili intellettivi, difatti, vuol dire domani non dover ricorrere per loro a strutture assistenziali quando i genitori non ci saranno più, con un grande risparmio per la collettività. Le attuali case-famiglia a loro dedicate, infatti, sono spesso orientate a ospitare i senza famiglia, ecco che dunque per le coppie come Mauro e Marta resta solo la soluzione di alloggi privati a costi proibitivi. Anche quando sono associazioni o fondazioni che si attivano, il primo ostacolo è proprio quello di reperire immobili sul mercato – confermano dall’Aipd – perché molti padroni di casa si rifiutano di affittare l’appartamento quando sanno che ci vivranno disabili. Lungo lo Stivale, va detto, buone pratiche non mancano. A Pisa e Venezia, Asl o istituti di case popolari hanno concesso loro alloggi, a Roma il Comune ha messo a disposizione uno stabile per creare “Noi in borgo”, e ci sono analoghi progetti anche a Milano e Ravenna. Tutte esperienze ancora troppo isolate, però.È principalmente questione di mentalità. Se passi avanti si sono fatti per i disabili motori che cercano casa, ancora troppi pregiudizi restano per quelli intellettivi e relazionali. I progetti di co-housing ci sono ovunque, ricorda Silvia Cutrera vicepresidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap, ma stentano a partire per burocrazia. Il “durante noi” anche per lei è «un tema cruciale»; tuttavia la società è ancora impreparata, quando invece «bisogna concedere ai disabili spazi utili in cui maturare una propria dimensione esistenziale».