Attualità

Ministero dell'Economia. Manovra, Padoan ora apre sulle pensioni

Eugenio Fatigante venerdì 25 settembre 2015
Il Tesoro arretra la 'linea del Piave' sulla previdenza per assecondare le intenzioni di Matteo Renzi. Dopo le audizioni di ieri nelle commissioni riunite Bilancio e Lavoro del Parlamento, si rafforza la linea del premier che nei giorni scorsi aveva fortemente chiesto un intervento immediato, già nella prossima Legge di stabilità, per venire incontro alle esigenze di alcune categorie di cittadini. Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, punta ancora i piedi sulla questione dei costi (ogni soluzione dovrà essere «attentamente valutata» e «compatibile con il quadro di finanza pubblica », quindi il più possibile a costo zero per non far salire il deficit oltre il 2,2%, ha ricordato), ma dopo averlo più volte escluso apre ora alla possibilità di inserire il dossier pensioni nella manovra di metà ottobre: «Il governo è impegnato in questa direzione», dice.  Al momento le chance maggiori riguardano una settima salvaguardia, quella «definitiva» (secondo la dizione del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti) e circoscritta ai casi «socialmente più rilevanti», per i lavoratori esodati rimasti senza stipendio e senza pensione. E la possibilità di estendere l’'opzione donna', ossia la possibilità di anticipare la pensione, ma con l’assegno contributivo (decurtato), anche dopo il 31 dicembre 2015. Resta poi la questione, più complessa, della flessibilità generale, per consentire una più agevole uscita dal lavoro rendendo un po’ meno rigida la 'legge Fornero' e favorendo il ricambio nei luoghi di lavoro. Ma la strategia di Palazzo Chigi non convince il sindacato. Annamaria Furlan, leader della Cisl, parla di «governo che fa il gioco delle tre carte» e Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, ammonisce che non si può pensare a «soluzioni-tampone, cercando un modo di trasferire ancora una volta sui lavoratori i costi di una legge sbagliata».  Il punto focale resta tuttavia quello della copertura. I soldi per un’ulteriore salvaguardia arriverebbero dai risparmi di quelle precedenti già chiuse, inserendo una norma  ad hoc per 'recuperare' le risorse. Questa settima operazione dovrebbe essere limitata però a chi è in più in difficoltà, hanno affermato sia Padoan sia Poletti (già più orientato alla linea Renzi). Le risorse vanno però ancora certificate. Fino a oggi si è parlato di 500 milioni, non spesi nel biennio 2013-14. Così come, se da un lato la 'rete' degli esodati indica in 50mila le persone ancora da tutelare, il governo sottolinea che a oggi «non è ancora possibile effettuare un consuntivo » perché delle sei salvaguardie adottate dal 2012 (su una platea totale di 170.230 persone, al 10 settembre sono 116mila le domande accolte) due sono ancora aperte (parte della seconda e tutta la sesta). Quanto alle donne, c’è già in campo l’opzione (per ora prevista fino a fine dicembre) che consente di andare in pensione a 58 anni con 35 di contributi, però con un taglio sull’assegno che arriva al 30%: ora prende quota l’ipotesi di estenderla - consentendo l’uscita a 62-63 anni - anche a coloro che maturano i requisiti a tutto il 31 dicembre 2015, quindi con decorrenza della pensione dal 2016. Anche qui Padoan ha ricordato che servono «mezzi di copertura ». Infine c’è la flessibilità, il capitolo più spinoso. Anche qui le opzioni sono diverse, con un orientamento verso un’uscita a 62-63 anni con penalizzazioni. Tra le priorità ci sono i 'disoccupati senior' che non hanno ancora raggiunto i requisiti per la pensione. Un suggerimento, sempre per le donne, è arrivato in audizione dal presidente dell’Inps: secondo Tito Boeri, «tenendo conto delle loro problematiche sarebbe importante non ripristinare vecchi requisiti di anzianità contributiva, vantaggiosi per gli uomini» (che prendono fino al 40% in più), mentre «deve essere centrale l’età».