Attualità

Magistratura. Mani pulite, morto Gerardo D'Ambrosio

lunedì 31 marzo 2014
​"Non è che lasci la magistratura. Mi occuperò ancora dei problemi della magistratura. E combatterò ancora perché siano risolti i problemi della giustizia": era il 29 novembre del 2002, il giorno prima della pensione. Gerardo D'Ambrosio era così. Un combattente sempre. E infatti dopo la magistratura si occupò di giustizia come senatore. Con lui, spentosi ieri a 83 anni, scompare uno dei maggiori protagonisti delle vicende giudiziarie italiane ed anche una persona, come in molti lo ricordano, dalle straordinarie "qualità professionali ed umane". Qualità che lo hanno accompagnato nella sua lunga carriera di magistrato, di rappresentante delle istituzioni e di uomo politico. Il suo nome è legato non solo alla stagione di Mani Pulite, ma anche ad altre vicende come la strage di Piazza Fontana, la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli e il crac del Banco Ambrosiano. Nato a Santa Maria a Vico, in provincia di Caserta, il 29 novembre 1930, si laureò in giurisprudenza a Napoli nel 1952. Cinque anni dopo entrò in Magistratura. Prima venne assegnato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nola, poi trasferito al Tribunale di Voghera, e infine arrivò a Milano. Qui fu pretore civile per diventare, dopo cinque anni, giudice istruttore penale conducendo l'istruttoria al processo per la strage di piazza Fontana. Nel 1981 passò in Procura Generale di Milano con funzione di sostituto pg, incarico che mantenne per otto anni e durante il quale sostenne l'accusa nel processo sul caso del Banco Ambrosiano che vedeva tra gli imputati Roberto Calvi. Nel 1989 divenne procuratore aggiunto, dirigendo il Dipartimento criminalità organizzata e dal 1991 - anno in cui subì un trapianto di cuore - quello dei reati contro la pubblica amministrazione. Nel 1992, quando procuratore capo era Francesco Saverio Borrelli, entrò nel pool di Mani Pulite di cui fu punto di riferimento. Al suo fianco lavorarono Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Francesco Greco e gli altri pm che coordinarono le indagini sulla tangentopoli della Prima Repubblica. Dal 1999 fu alla guida della Procura della Repubblica e nel 2002 andò in pensione. Lasciò la toga, ma non l'impegno per la giustizia che portò avanti: per due legislature è stato senatore prima per i Democratici di Sinistra poi per il Partito Democratico. Ha combattuto sempre con quel grande senso dello Stato e delle Istituzioni che lo ha guidato per tutta la vita. Ha combattuto fino all'ultimo. Fino a ieri, quando nel pomeriggio è morto al Policlinico di Milano dove da due giorni era ricoverato in gravissime condizioni. Il suo cuore non ha più retto. La sua scomparsa lascia un grande vuoto ma anche il ricordo di un magistrato e di un politico che ha "interamente dedicato" la vita "al Paese - ha commentato il ministro della Giustizia Andrea Orlando - Filo conduttore di essa è stata un'autentica e costante passione civile guidata dai valori della Carta Costituzionale". Per Romano Prodi "il suo impegno nella Magistratura e in seguito al Senato della Repubblica restano per tutti noi esempio di alto senso delle Istituzioni che egli ha servito con grande determinazione e responsabilità" mentre per il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini è stato "un magistrato che certamente ha fatto scelte di parte, ma che ha sempre dimostrato grande rispetto per la toga che ha indossato con onore". Unanime il cordoglio della politica. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi dice: "La sua probità, il profilo asciutto e rigoroso, lo scrupolo da magistrato e da esponente delle istituzioni parlamentari sono una lezione quotidiana". Il presidente del Senato Piero Grasso definisce D' Ambrosio "un servitore dello Stato, protagonista della vita civile e istituzionale del Paese". La presidente della Camera Laura Boldrini lo ricorda come "un uomo delle istituzioni nel senso più pieno del termine, come magistrato prima e come senatore dopo". Parole commosse anche dai suoi ex colleghi del pool. Francesco Saverio Borrelli ne sottolinea "la profonda onestà intellettuale" e Antonio Di Pietro lo saluta con un tweet: "ciao Gerardo, meno male che c'eri tu ai tempi di Mani Pulite".