Attualità

Aiuto alla vita. Mamme aiutate che diventano volontarie. L’ascolto restituito

Graziella Melina sabato 14 novembre 2020

Quando arrivano davanti al Centro di aiuto alla vita, spingendo il passeggino, molte mamme si trattengono lì per un po’. Ormai il bimbo è nato, ed è pure bello e pasciuto. E dei problemi che spesso facevano perdere pure il sorriso non c’è più traccia. Eppure in quel Cav ci ritornano, perché ora vogliono aiutare le altre mamme che si affacciano per la prima volta. Sanno cosa stanno passando e sono pronte a «rassicurarle, aiutarle e testimoniare la bellezza della vita», come racconta una di loro. Di queste donne, poi diventate volontarie, Lina Pettinari – cofondatrice nel 2005 del Cav di Grosseto – ne ha viste passare tantissime. Per dire: da quando ha iniziato ad aiutarle sono circa 500 i bambini nati. «Si rivolgono qui donne che sono in una situazione di disagio o hanno problemi legati alla salute del bambino – racconta –. Molte, poi, hanno bisogno di sostegno psicologico, sono confuse, piangono. Noi le aiutiamo in maniera individualizzata, le prendiamo in carico. Stiamo loro vicine fino al parto, e anche dopo». Così va a finire che poi le neo-mamme sentono il bisogno di aiutare altre donne, in difficoltà com’erano loro e alla ricerca solo di essere accolte. E diventano volontarie.

Come Francesca Zanellato, che ora si prende cura delle donne che bussano alla porta del Cav di Campodarsego, in provincia di Padova. «Vogliono essere ascoltate e non sentirsi più sole – racconta –. In tante non si sentono capite, vedono tutto nero, non riescono a gioire della gravidanza. Ma con noi la situazione cambia». Il problema di fondo dunque non è solo economico. «Quello è più facilmente risolvibile – prosegue –, il fatto è che tante sono abbandonate, non hanno la famiglia che le supporta. La solitudine è la ferita più grande».

Trovare al Cav altre mamme che possono raccontare e condividere l’esperienza vissuta diventa liberatorio. Tutte le angosce si alleggeriscono. «Sono stata una mamma aiutata – ricorda Francesca –, avevo 19 anni, c’era la paura della giovane età, di non riuscire a realizzare i miei sogni. Sono arrivata al Cav, e poi sono rimasta. Lì c’era qualcuno che mi capiva. In quel periodo studiavo, anche il mio ragazzo. Mi sentivo sempre più sola. Sono stata seguita da una volontaria, la sua presenza mi ha fatto vedere le cose da un punto di vista diverso. Grazie a lei sono cresciuta e maturata. E poi vedevo che lei e l’altra volontaria che mi seguiva avevano avuto un bambino da giovani e si erano realizzate, per me erano da esempio. Pensavo di potercela fare anch’io. Così, dopo il parto, ho deciso di aiutare altre mamme. E anch’io sono diventata volontaria del Cav. Per noi mamme e bambini non sono un numero. Siamo sempre vicine, anche dopo il parto, e le aiutiamo in tutto».