Attualità

Solidarietà. La Macerata che accoglie. L'inclusione che nasce in famiglia

Redazione Interni mercoledì 7 febbraio 2018

La Macerata di Lucia, o quella di Anna e dei suoi tre figli non finisce sotto i riflettori. E invece merita di essere raccontata. Perché, senza fare baccano, c’è chi si fa samaritano. Come Lucia, infermiera, che da qualche settimana ha accolto nella sua casa Blessing, una ragazza nigeriana, titolare di protezione umanitaria, all’ottavo mese di gravidanza. «Da poco accogliamo a casa Blessing, una minuta e delicata ragazza di 26 anni – dice Lucia – che partorirà la sua bimba a marzo. Abbiamo deciso di fare qualcosa di concreto per qualcuno, oltre le chiacchiere, perché bisogna mettersi in gioco in prima persona, se si vogliono cambiare le cose». Non sarà sempre facile, ma con la rete di Refugees Welcome «riusciremo a dare a Blessing e alla sua bimba un’opportunità per ripartire, per poi volare da sè, speriamo con meno peso nel cuore».

I tragici fatti di Macerata esortano «le istituzioni, le organizzazioni impegnate nell’accoglienza e nei processi di inclusione, la società civile, ad assumere una responsabilità collettiva per offrire risposte a garanzia della coesione sociale e dello Stato di diritto», dicono dall’associazione Refugees Welcome, che nella città marchigiana da tempo ha avviato progetti di accoglienza e integrazione. Come hanno fatto Elvira e Luigi che da luglio ospitano Mamadou, del Gambia: «Aiutando una persona in difficoltà, si aiuta se stessi, la propria famiglia, la comunità. È semplice ed è una ricchezza per tutti», raccontano.

C’è poi la Macerata di Annalisa, responsabile del gruppo locale marchigiano dell’associazione, che ha deciso assieme alla sua famiglia di aprire le porte a Toure, 23 anni, rifugiato della Costa d’Avorio: «Quella del suo arrivo è stata davvero una giornata gioiosa perché abbiamo dato il benvenuto a Toure, ma sembrava che lui non fosse arrivato solo da 4 giorni. I ragazzi hanno riso e scherzato, utilizzando un gergo tutto loro che a volte facevo fatica a comprendere».

Coniugare sicurezza, legalità e integrazione «non deve essere considerata una sfida impossibile. Accogliere e includere non è in antitesi con la più decisa condanna di ogni forma di violenza, da chiunque perpetrata a danno di altri, a prescindere dell’origine etnica di aggressori e di vittime. A un atto di barbarie, come ha detto lo zio di Pamela, non si risponde con altrettanta barbarie – spiega l’associazione –, ma riaffermando i principi cardine su cui si fonda la convivenza civile: la responsabilità penale è individuale, un gesto criminale viene perseguito secondo le leggi dello Stato e chi lo compie non trascina con sé le persone con la stessa appartenenza geografica, culturale, religiosa e politica».

In questo momento, «crediamo sia doveroso raccontare questa Macerata, spesso lontana dai riflettori, capace di aprire le porte della propria casa e donare parte del proprio tempo per costruire uno spazio di condivisione, incontro, crescita».

Come hanno fatto anche Lucio, Anna e i loro tre figli: Filippo, Ludovico e Matilde, i primi ad accogliere un rifugiato gambiano, Ebrima. Il loro esempio non è passato inosservato.