Attualità

Il «farmaco gender». Ma quel «sì» deve riguardare solo pochi casi eccezionali

Laura Palazzani giovedì 26 luglio 2018

Il Comitato nazionale di bioetica (Cnb) ha ricevuto una richiesta dall’Agenzia italiana del farmaco sull’uso del farmaco triptorelina off label per adolescenti con disforia di genere, o non congruità tra sesso alla nascita e genere percepito, per sospendere la pubertà per un periodo limitato per accertare la condizione e consentire la maturazione di una consapevolezza in merito al cambiamento di sesso. Si tratta di un tema complesso e delicato, per varie ragioni.

Per ragioni scientifiche, perché come ogni trattamento fuori dalla indicazione originaria non esistono evidenze di sicurezza (bilanciamento rischi/ benefici) ed efficacia. Per ragioni filosofiche, perché diverse sono le posizioni, nel contesto del pluralismo che caratterizza il Cnb, sulla questione gender, tra chi ritiene che la disforia di genere sia una patologia e chi ritiene che sia una condizione, tra chi riconosce che la dimensione naturale debba prevalere sulla scelta individuale e chi considera il desiderio soggettivo come la dimensione prioritaria.

Il Comitato ha dovuto necessariamente muovere dal dato di fatto che alcune Società scientifiche internazionali e nazionali ne raccomandano l’uso e che tale farmaco sia già utilizzato nelle strutture sanitarie in Italia e all’estero e in forza di ciò ha ritenuto opportuno esprimersi contro la liberalizzazione, sottolineando l’esigenza etica che siano definiti i limiti dell’uso del farmaco, che viene oggi prescritto di fatto da medici generici e pediatri non specialisti. Il Comitato, sulla base di un approccio di prudenza, e certamente ben lontano dall’avallare un modello gender fluid, ha ritenuto che possa essere prescritto solo in casi eccezionali in adolescenti con disforia di genere e con grave sofferenza, rischio di autolesionismo e di suicidio non altrimenti trattabile, quando già è stato fatto tutto il possibile sul piano della psicoterapia e psicanalisi.

Queste possibili difficoltà del minore, che si traducono in rischi per la stessa vita del paziente, sono state confermate da tutti gli illustri professionisti auditi dal Comitato per la elaborazione del parere. Il Cnb ha voluto tenere primariamente in conto il principio etico di beneficienza nei confronti di un minore in stato di grave sofferenza. Inoltre, diversamente da quanto avviene oggi nelle strutture sanitarie, ha raccomandato che tale farmaco possa essere prescritto solo da una équipe specialistica, composta da un neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, un endocrinologo pediatrico, uno psicologo dell’età evolutiva e un bioeticista, con un protocollo diagnostico- terapeutico che accompagni gli adolescenti e le loro famiglie anche sul piano psico-sociale.

Il Comitato si è, dunque, preoccupato che siano evitate forme di automedicazione e trattamenti non adeguatamente monitorati. Ha raccomandato altresì una formazione dei pediatri, oltre che della rete socio-sanitaria, e studi di sicurezza/efficacia e follow-up sui casi trattati. Il Comitato, inoltre, ha ritenuto, come per ogni trattamento sanitario sul corpo del minori, che l’adolescente debba essere adeguatamente informato con «l’ausilio di professionisti del settore», nel contesto delle sue specifiche condizioni, ponendo sempre come prioritaria la sua salute psico-fisica (in conformità alla recente legge 219/2017).

Il Comitato ha peraltro sottolineato che il problema non è solo quello sollevato da Aifa della rimborsabilità del farmaco (il cui accesso deve essere equo ed omogeneo, come per tutti i farmaci), ma semmai e soprattutto il chiarimento sul piano normativo delle particolari condizioni etiche di somministrazione del farmaco. Va ricordata la postilla di dissenso di Assuntina Morresi e le astensioni dei rappresentanti dell’Istituto superiore di sanità e del Consiglio superiore di sanità, che non hanno espresso motivazioni in merito.

Vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica