Attualità

l vescovo di Caserta. «L'usura? È come la camorra. Attenti alle nuove schiavitù»

Luigi Ferraiuolo domenica 12 luglio 2020

Il vescovo di Caserta, Giovanni D’Alise: «Ho sentito la notizia, sono rimasto costernato»

«La schiavitù non è mai finita. Non è mai sparita. Si è solo trasformata». È durissimo il vescovo di Caserta, Giovanni D’Alise, nel commentare la denuncia di Avvenire sui ragazzi dati in pegno agli usurai dalle famiglie, per saldare i debiti contratti dai genitori. «Stavo ascoltando la rassegna stampa radiofonica della Rai, come faccio sempre. Appena ho sentito la notizia, sono rimasto veramente costernato perché non mi sarei mai aspettato una cosa del genere – spiega monsignor D’Alise –. Non me la sarei aspettata in generale, nella mia diocesi e nella città in cui vivo: Caserta. Ho subito pensato che vuol dire che il male si insinua così fortemente nella società, che sembra che non ci sia.

E questo è il modo peggiore e più dannoso per insinuare il male nelle nostre comunità». È accorato il discorso del presule casertano. Il vescovo di Caserta non si aspettava che l’usura fosse diventata cosi subdola in Terra di Lavoro, da coinvolgere intere famiglie nei suoi tentacoli, facendo pagare ai figli – letteralmente – i debiti dei genitori. Figli, maschi e femmine, costretti ad andare a lavorare in aziende vicine all’usuraio, anche se non collegate direttamente con lui, per 'restituire' il debito. «Dico alle mie comunità e ai sacerdoti e a quanti a Caserta hanno rapporti con la società, a tutti i battezzati che operano più attivamente per il bene comune, di aprire gli occhi – continua D’Alise –. Perché sotto questi nostri occhi stanno accadendo cose impensabili. Se un ragazzo della mia parrocchia, il figlio di un mio amico fosse in questa situazione, passerebbe di continuo davanti a me una scena come quella che avete raccontato. Sono grato perciò al giornale e a chi ha parlato, per averci aperto gli occhi e averci dato la possibilità d’intervenire. E spero, in realtà, che non sia così grave, che non sia così vera la notizia » .

Per il vescovo Giovanni D’Alise, «quando un ragazzo va giovanissimo a lavorare senza la tutela di un adulto, anzi ne viene schiacciato, sappiamo che tutto può accadere»

Il discorso del vescovo di Caserta si fa poi più intenso. Cerca di entrare nei meccanismi più interni della società meridionale, più debole in genere rispetto a quella settentrionale, perché il lavoro è poco, la rete economica più debole. Le persone deboli sono più esposte in genere ai ricatti. Ma il discorso in realtà si può estendere anche al Nord, perché l’usura è universale, non ha confini. «La schiavitù non è scomparsa – sostiene monsignor D’Alise –, anche questo rigurgito razziale che sta avvenendo negli Stati Uniti ha la stessa origine. In entrambi i casi la persona non vale nulla. Ho ancora davanti a me l’immagine del poliziotto che teneva in ostaggio con il ginocchio George Floyd. Lo schiacciava, non solo fisicamente. Adesso ho l’impressione che stia emergendo una nuova schiavitù. Proprio come la camorra si è insinuata e nascosta tra noi, così ha fatto l’usura. E che nessuno pensi che l’usura e la camorra possano vivere nascoste tra di noi, senza farsi scoprire, mi fa pensare che la schiavitù si concretizza in tanti modi. Tanti lavoratori sono sempre più sfruttati; arriviamo addirittura, adesso, ai figli, alle figlie. Ragazzi che vengono mandati al lavoro al posto degli adulti, per saldare i debiti contratti dai genitori! Quando un ragazzo va giovanissimo a lavorare senza la tutela di un adulto, anzi ne viene schiacciato, sappiamo che tutto può accadere, anche l’aberrazione. Si può arrivare anche allo sfruttamento sessuale».

Per questo, monsignor D’Alise lancia un appello alle forze dell’ordine e ai magistrati a intervenire subito. A indagare con attenzione sulla denuncia del presidente della Camera di Commercio di Caserta, Tommaso De Simone. Impiegando tutti i mezzi possibili, come se si stesse indagando contro la mafia, la camorra. «Credo che sia il momento giusto per le forze dell’ordine e la magistratura. Sono state allertate dalla denuncia, ora devono intervenire – continua il pastore –. Penso proprio che sia necessario incitare le persone a denunciare questi fatti. Denunciare anche in forma anomina. Non si può non reprimere questo vizio che viene da lontano ed è come quello della prostituzione, vecchio come il mondo. È un peccato grave, perché si fanno i soldi sfruttando i bisogni delle altre persone. Ciò è antiumano e anticristiano. Si richiede, da noi Chiesa, un forte esercizio di solidarietà, ognuno per quello che può, ma che sia una solidarietà sensibile e fattiva. Spesso non ci rendiamo conto di quanta bontà ma anche di quanta malvagità c’è tra di noi. E i ragazzi – conclude – non ne possono pagare lo scotto».