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INTERVISTA. Luigi Marino (Monti per l'Italia): entro l'anno va fatto il partito unitario

Eugenio Fatigante mercoledì 23 gennaio 2013
Luigi Marino è una delle punte del mondo produttivo entrate nella lista "Con Monti per l’Italia" (è capolista al Senato in Emilia-Romagna). E dalla sua posizione mostra idee chiare sul futuro post-urne della nuova compagine: chiede «la nascita del partito unitario» e una «terapia-choc per l’economia».Dà ragione a Passera?Sì, la lista unitaria andava fatta inequivocabilmente anche alla Camera – ci dice il presidente (uscente dopo ben 22 anni, si dimetterà il 31 gennaio) di Confcooperative –. Ciò detto, dopo i gruppi unici in Parlamento, dovrà partire subito - entro l’anno - il processo di costituzione di un soggetto politico unitario. Non sarà facile, ma sarebbe un gravissimo errore non farlo. L’impegno civile che "si fa" politica ha bisogno di un’organizzazione, non di leader isolati.Ci sorprende: da un esponente delle imprese arriva un input politico?Guardi che il primo atto del nuovo governo - qualunque sia - dovrà essere politico: una nuova legge elettorale, per chiedere scusa di quella attuale che è una presa in giro, un travisamento della democrazia. Gli italiani non hanno memoria storica: più di mezzo secolo fa è passata alla storia come "legge-truffa" una norma che dava il 65% a chi prendeva il 51%. Questa è ancor più grave: dà il 55% a chi prende molto di meno. Chi vinca si ricordi che non avrà la maggioranza degli italiani.È un messaggio a Bersani?È la coerenza di chi dice: ogni maggioranza eterogenea che non sia coerente coi nostri programmi riformatori ci vede estranei.Senza alleanze, però, si rischiano nuove elezioni.Io penso che ci voglia chiarezza. Non si può impostare la campagna elettorale su certi temi e poi annacquarli per fare a ogni costo un governo. Non bisogna temere il ritorno al corpo elettorale. La coerenza sarà premiata. Non ci potranno più dire "siete la stampella della sinistra"...Veniamo all’economia. Servono di più misure graduali o una terapia-choc?Quest’ultima. La crescita non avviene per fatti meccanici, uno stimolo forte ci vuole. La competitività si può ridare al Paese attraverso un forte ammodernamento della macchina statale e delle imprese. E bisogna porre rimedio agli errori del governo Monti, che nell’emergenza ne ha commessi, pur avendo il grosso merito di aver messo l’Europa nelle condizioni di intervenire sui debiti sovrani.Quali errori?Ne indico tre: il blocco della rivalutazione delle pensioni: va tolto, prima ancora dell’Imu che va aggiustata. E poi la questione dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni alle imprese: il governo ha fatto da maggio 2012 dei decreti per accelerarli ma - per le lentezze amministrative - non un euro dovuto a quel testo è finito finora nelle casse delle imprese. Così come non è ancora divenuta realtà l’Iva per cassa. Sono lentezze inammissibili. Figlie di uno Stato il cui perimetro va ristretto anche per questo.Perché dice che vanno ammodernate anche le imprese?Perché, certo, soffrono per la stretta del credito. Ma va pure detto che le nostre imprese sono cronicamente sottocapitalizzate. Non è che i soldi siano improvvisamente spariti, è che bisogna pure metterli nell’azienda. Conosco esempi straordinari di chi lo fa, ma la maggior parte esita.Torniamo alle elezioni: la lista Monti è accreditata di un 15%.Sarebbe un’ottima base di partenza. Spazi per crescere ci sono. Il punto di partenza di ogni ragionamento politico è che l’Italia viene da un distacco senza precedenti fra cittadini e Stato. Da una classe dirigente che ha portato in negativo tutti gli indici di qualità del Paese, tranne l’export che - non a caso - è dovuto soprattutto alle imprese. Una classe dirigente che ha avuto la faccia tosta di riproporsi con le stesse alleanze.Lei è stato uno dei fondatori del Forum di Todi. Qualcuno ha parlato di una frattura finale.Gli incontri di Todi 1 e 2 sono stati momenti aggreganti di larga parte della società civile che si riconosce nella dottrina sociale della Chiesa. Abbiamo contribuito a fermare quel disimpegno che c’era anche nei cattolici, siamo stati un fermento. Una stagione si è aperta, e si è chiusa. Ma non va drammatizzato. Le associazioni coinvolte troveranno nuove forme di espressione.