Attualità

SALUTE E RICERCA. «Da oggi misuriamo il livello di coscienza»

martedì 20 agosto 2013
Il funzionamento di un rene si misura dalla capacità di filtra­zione del sangue; mentre l’effi­cienza di pompaggio del cuore può essere valutata calcolando la fra­zione di eiezione. Ma come si mi­sura il livello di coscienza in pazienti con lesioni cerebrali, disconnessi dall’ambiente esterno, o in appa­rente 'stato vegetativo'? La rispo­sta è dei ricercatori dell’Università di Milano: «Bussando sul cervello e misurando la complessità dell’eco che esso produce». In termini più ortodossi: calcolando la comples­sità della risposta cerebrale a una 'perturbazione magnetica', sfrut­tando un sistema che tanto somiglia a un programma di 'zip' del com­puter.Andiamo con ordine. Nella pratica clinica il livello di coscienza di un paziente viene valutato sulla base delle sue capacità di reagire a sti­moli e comandi. Per capirci: «Strin­gi il pugno!». O ancora: «Apri gli oc­chi! ». Tuttavia, molti pazienti cere­brolesi sono coscienti ma incapaci di rispondere a simili comandi o sti­moli, semplicemente perché non sanno elaborare gli stimoli oppure perché sono completamente para­lizzati. Gli scienziati, come spiega Marcello Massimini, professore di neurofisiologia dell’Università di Milano e coordinatore di uno studio ospitato sulle pagine di Science Translation Medicine, sono partiti da qui: «Per affrontare il problema abbiamo cercato di misurare diret­tamente ciò che, almeno in teoria, rende il cervello così speciale per la coscienza: la sua incredibile capa­cità di integrare informazione».In sostanza, gli autori della ricerca hanno compresso, o meglio «zip­pato » (siamo o no nell’era del Web?), l’informazione generata dall’intero cervello quando questo viene atti­vato da un forte stimolo magneti­co, più o meno come vengono 'zip­pate' le immagini digitali prima di essere inviate per email. «L’idea – aggiunge Massimini – è che più informazione il cervello genera co­me un tutto integrato, meno saremo in grado di comprimere le sue ri­sposte a una perturbazione». Tor­niamo all’eco: «In tutti i casi in cui la coscienza era ridotta, o abolita – prosegue –, l’eco del cervello era fa­cilmente comprimibile e in tutti i casi in cui la coscienza era presen­te le risposte erano complesse, e quindi difficili da zippare».In questo modo gli scienziati han­no ricostruito, per la prima volta, u­na scala di misura affidabile lungo lo spettro che va dall’incoscienza al­la coscienza. Si tratta di «una scala oggettiva» che può dunque essere utilizzata per rivelare la presenza di coscienza anche in pazienti che so­no totalmente isolati dal mondo e­sterno. Non a caso, evidenzia una nota dell’ateneo milanese, questa nuova metodica è stata sperimen­tata dai ricercatori in diverse con­dizioni fisiologiche, farmacologiche e patologiche in cui la coscienza si riduce, o scompare e riappare, co­me la sveglia, il sonno profondo, il sogno, l’anestesia e il recupero dal coma. Ma «al di là della loro impor­tanza clinica», dice ancora Massi­mini, «questi risultati confermano, per la prima volta, l’ipotesi che la coscienza ha che fare con la capa­cità del cervello di integrare infor­mazione, ovvero con una quantità incredibile di informazione con­centrata in un singolo oggetto. Una cosa più unica che rara nell’univer­so fisico». Come unico è il fatto che da oggi numerose terapie, soprattutto in campo neurologico, potranno es­sere 'dosate' meglio, o addirittura riprogrammate perché un indice oggettivo, una sorta di cartina di tor­nasole, ne misurerà le evidenze og­gettive, cioè i risultati. Non è roba da poco.