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Il caso. Via libera ai trafficanti di uomini, la Libia chiede la riabilitazione di Bija

Nello Scavo sabato 10 dicembre 2022

Il maggiore “Bija” riceve un nuovo encomio dal governo di Tripoli per il suo addestramento ai guardacoste

Erano state rinnovate a novembre le sanzioni contro i boss del “Libyagate”, il grumo di interessi internazionali che lucra denaro e posizioni di potere con il traffico di persone, il contrabbando di petrolio, stupefacenti e armi. Ma il primo ministro libico Dbeibah chiede adesso il ritiro delle restrizioni e la libertà di viaggiare per Abdurahman al-Milad, nome di battaglia: Bija.

Incurante persino dell’alert dell’Interpol, che mantiene attiva la ricerca dei sospettati libici, il governo di Tripoli attraverso il ministero della Giustizia ha presentato istanza di cancellazione delle sanzioni che sono state ribadite dal Consiglio di Sicurezza Onu, dall’Unione Europea insieme al Dipartimento di Stato Usa e al Foreign Office, il ministero degli Esteri di Londra. Con l’approvazione del primo ministro, è stato dato mandato al ministero degli Esteri di rimuovere al-Milad dall’elenco delle sanzioni internazionali. La notizia non sorprende le fonti Onu che da tempo seguono l’evoluzione delle dinamiche politiche e criminali in Libia e delle connessioni tra milizie, clan ed istituzioni ufficiali.

Che tra tutti i sanzionati venga richiesta la piena riabilitazione solo del maggiore al-Milad, conferma la sua crescente preminenza nello scenario libico.

Bija è oramai il volto di punta della famigerata milizia al-Nasr di Zawiyah, guidata dai fratelli Kachlaf, che vede nel maggiore della Marina Abdurahman al-Milad (Bija). Uno degli esponenti di vertice Osama Al Kuni Ibrahim, direttore dei campi di detenzione ufficiali per migranti e cugino di Bija. Tutti i componenti di punta del clan sono destinatari di sanzioni internazionali e di “alert” dell’Interpol. Nel 2017 Bija, nonostante fosse già noto dai servizi segreti di vari Paesi e già allora indicato come trafficante di petrolio ed esseri umani anche in documenti ufficiali del Ministero della Difesa italiano, ottenne un visto per incontrare in Sicilia e a Roma le autorità del nostro Paese.

Dal luglio 2018 è sottoposto a sanzioni stabilite dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: in particolare, divieto di viaggio e blocco delle attività proprio per i crimini su cui indaga la Corte penale internazionale dell’Aja e ribaditi ancora una volta dal report annuale del “panel of expert”, il gruppo di ispettori incaricati dall’Onu per le indagini in Libia. «Le sue forze – si legge in uno dei documenti a disposizione dalla Procura presso la corte penale dell’Aja – erano state destinatarie di una delle navi che l’Italia ha fornito alla Lybian Coast Guard».

Alcuni uomini della sua milizia «avrebbero beneficiato del Programma Ue di addestramento» nell’ambito delle operazioni navali Eunavfor Med e Operazione Sophia. Inoltre proprio Bija è sospettato di aver dato l’ordine ai suoi marinai di sparare contro navi umanitarie e motopescherecci.

Intervistato da Amedeo Ricucci nell’autunno del 2017, al-Milad all’inviato del Tg1 fece chiaramente intendere che in cambio di un ricco appalto per gestire la sicurezza dei siti petroliferi concessi ad aziende italiane, avrebbe smesso di doversi arrangiare con altri affari. Traffici che secondo gli esperti Onu si possono riassumere «nell’affondamento delle imbarcazioni dei migranti utilizzando armi da fuoco», la cooperazione «con altri trafficanti di migranti come Mohammed Kachlaf che, secondo fonti, gli fornisce protezione per svolgere operazioni illecite».

Diversi testimoni in indagini penali italiane «hanno dichiarato – si legge nei report dell’Onu e dell’Aja – di essere stati prelevati in mare da uomini armati su una nave della Guardia Costiera chiamata Tallil (usata da Bija, ndr) e portata al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a torture».

A rafforzare la posizione di Bija nel contesto politico-criminale libico era stato il suo viaggio in Italia nel 2017, quando era stato ammesso a incontri ufficiali con esponenti delle autorità italiane. Una sorta di “legittimazione” che il giovane ufficiale della guardia costiera libica ha saputo rivendersi in casa.

Già l’inchiesta antimafia “Dirty Oil”, condotta nel 2017 dalla procura di Catania, aveva mostrato quale fossero le connessioni internazionali delle milizie libiche. Bija si vantava di avere fermato alcune petroliere che avevano rubato idrocarburi, passando per un cacciatore di contrabbandieri.

In realtà, come hanno poi confermato le indagini, gli emissari maltesi si erano rivolti ai loro referenti a Zawiyah e Zuwara affinché impiegassero la Guardia costiera locale per fermare le navi dei contrabbandieri loro rivali. E a comandare quel dipartimento della guardia costiera c’era proprio Abdurhaman al-Milad.

Il documento con cui Tripoli chiede la revoca delle sanzioni per Bija - .