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Inchiesta. Libyagate, ora Malta dà via libera all'estradizione in Italia di Attard

Lorenzo Bagnoli, IrpiMedia, e Nello Scavo, Avvenire giovedì 16 dicembre 2021

Il momento dell'abbordaggio della motonave che trasportava droga

Il Tribunale di Malta ha disposto l’estradizione in Italia di Paul Attard, controverso uomo d’affari accusato fra l’altro della spedizione di 10 tonnellate di hashish con uno dei suoi pescherecci. Attard è uno dei nomi chiave del “Libyagate”. L’inchiesta di IrpiMedia con Avvenireche aveva documentato lo scorso 27 novembre proprio il ruolo di Attard, figura chiave del cartello che agisce prevalentemente tra Libia, Malta e Sicilia. I processi a carico di Attard in Italia sono tuttora in corso, perciò l’uomo d’affari potrebbe tentare una estremo ricorso contro l’estradizione, che potrebbe presto diventare esecutiva .

Nel 2016 un rimorchiatore dell’imprenditore maltese, il “Sea Patron”, era stato utilizzato per trainare la petroliera “Transnav Hazel” nelle acque contigue maltesi. La “Transnav” era stata sequestrata in Libia da Bija, il comandante della guardia costiera di Zawyah per il quale l’Interpol ha rinnovato nelle settimane scorse un “alert”, per sottrarre petrolio di contrabbando a un clan avversario. Idrocarburi poi messi sul mercato illecito attraverso canali maltesi.

Gli investigatori ritengono che in questi anni Paul Attard abbia tentato di aggirare i controlli in mare utilizzando rimorchiatori per trascinare navi cariche di prodotti da contrabbandare. Se intercettati durante il traino, gli uomini di Attard dichiaravano di svolgere una normale operazione di assistenza a una nave in difficoltà.

Ricapitolando: a Malta, tra il 2015 e il 2016, si è costituito un gruppo di presunti trafficanti di gasolio che ha stretto una solida alleanza con alcune delle milizie dell’ovest della Libia. Tra questi ci sono gli uomini della fazione della Guardia costiera libica di Abelrahman al-Milad, detto Bija, trafficante di uomini secondo le Nazioni Unite; comandante a guida dell’accademia navale di Zawiyah, secondo il governo libico. I guardacoste tra Zawiyah e Zuara hanno ricevuto mezzi e corsi di formazione dall’Italia, nell’ambito della cooperazione con la Libia per fermare l’immigrazione irregolare. Le prime due puntate di #Libyagate hanno indagato la rete di contrabbandieri e trafficanti che agisce soprattutto nello specchio di mare tra Libia e Malta. Ora entra in scena Cosa nostra siciliana.

A due ore di navigazione da qui, in Sicilia, agiscono infatti i clienti dei contrabbandieri, coloro che secondo le ipotesi di diverse procure distribuiscono il carburante in tutta Europa. E che con gli incassi favoriscono anche l’organizzazione mafiosa siciliana. Sono un anello fondamentale affinché il traffico funzioni, perché le autorità maltesi possono lasciar perdere solo se il traffico porta fuori dalla giurisdizione maltese. Tra attivisti e giornalisti, sono state tante le accuse di complicità diretti all’ex primo ministro maltese Joseph Muscat, dimessosi nel gennaio del 2020. Sta di fatto che le mosse di alcuni acquirenti del gruppo di contrabbandieri conducono fino a Mazara del Vallo, feudo di Matteo Messina Denaro.

Sergio Leonardi è un imprenditore che ha sposato la figlia del boss catanese Pippo Sciuto Tigna. Grazie ai buoni uffici di Carmelo Muzzone, zio della moglie e fedelissimo di Angelo Privitera, esponente del clan Mazzei, nel 2016 riesce a entrare in contatto con i titolari del deposito fiscale di idrocarburi Pinta Zottolo. Da Catania, quindi, la sua rete di affari lo porta fino a Mazara del Vallo.

Il deposito fiscale è autorizzato a trasformare, detenere, ricevere o spedire prodotti normalmente sottoposti ad accisa, ma per i quali viene applicato un regime di sospensione dei diritti di accisa e di Iva. Leonardi, sostengono gli inquirenti, intende commercializzare gasolio per automobili e camion acquistandolo come gasolio verde, cioè destinato a uso agricolo e per questo sottoposto a un regime fiscale agevolato, con l’Iva abbattuta dal 22 al 10 percento.

Il giro d’affari è stato ricostruito con il contributo del collaboratore di giustizia Salvatore Messina. Dal 2016, dunque, il gruppo dei “catanesi” si approvvigiona di gasolio presso il deposito mazarese con il favore di Francesco Burzotta, il cui fratello fu legato al boss di Cosa nostra Mariano Agate, morto nel 2013, noto anche per essere stato iscritto alla loggia massonica “Iside 2” di Trapani e considerato l’uomo di riferimento di Totò Riina a Trapani. Nel 2004 Agate venne intercettato mentre, dal carcere al 41 bis, ordinava al figlio Epifanio di comunicare gli sviluppi dei traffici illeciti al superlatitante Matteo Messina Denaro, capo indiscusso di Cosa nostra in provincia di Trapani.

I presunti legami con uomini di Cosa nostra, sponda ancora catanese, erano emersi fin dai tempi dell’indagine Dirty Oil. Nicola Orazio Romeo - socio in affari di Darren Debono, uno dei due broker maltesi, sia in aziende di trading petrolifero, sia soprattutto in aziende “dedite commercio all’ingrosso di pesce” – in precedenti indagini è stato ritenuto dagli investigatori in contatto con esponenti della famiglia mafiosa Santapaola–Ercolano. Ipotesi, in attesa di un pronunciamento dei tribunali, sempre respinta dall’interessato. Romeo insieme a Darren Debono ha viaggiato sia in Libia, sia in Italia, per intrattenere rapporti con fornitori e acquirenti. Il rapporto tra i due, come ha scritto IrpiMedia, è cominciato al mercato del pesce di Acireale, dove Darren è entrato attraverso Romeo. Da allora non si è mai interrotto.

Quando il tribunale mette i sigilli al deposito fiscale, il clan Mazzei si guarda intorno. Gli affari devono continuare. Le intercettazioni identificano gruppi d’affari nella capitale e altri vicini alla camorra. Questi ultimi, però, non sembrano all’altezza della consorteria isolana. «Si sta vedendo Gomorra, se lo vede dieci volte, a tipo che lui è Savastano. Hai capito?», si lamentano gli etnei quando parlano dei loro contatti in Campania.

A Malta molti sapevano e tanti tacevano. Eppure la guerra per bande dei trafficanti di gasolio aveva provocato una lunga scia di sangue: sette autobombe esplose in 24 mesi (a partire dal 2014), che hanno provocato quattro morti, riportano i media maltesi. «Questa mattina quando mi sono svegliata con la notizia di un altro uomo fatto saltare in aria con un ordigno piazzato nella sua auto, ho scritto di una pista che sta emergendo in cui i trafficanti di diesel vengono fatti esplodere con le loro auto, a differenza dei trafficanti di droga a cui viene sparato», scriveva Daphne Caruana Galizia. Un anno dopo toccó a lei.
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