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Libia. Blitz a Tripoli, 4mila rifugiati deportati in un lager / IL VIDEO

Paolo Lambruschi martedì 5 ottobre 2021

Un fermo immagine del video che documenta le terribili condizioni di un gruppo di persone migranti in Libia

Quattromila rifugiati, tra cui donne incinte e bambini, presi casa per casa dalle forze di sicurezza e ammassati arbitrariamente in una ex fabbrica di tabacco a Tripoli trasformata in lager. E un giovanissimo ucciso e 15 i migranti feriti, sei dei quali seriamente, dalla polizia.

È il bilancio di un raid senza precedenti lanciato venerdì 1 ottobre nel sobborgo della capitale libica Gargarish - densamente popolato da anni da migliaia di migranti e rifugiati subsahariani riconosciuti dall’Unhcr - dal Dipartimento per il contrasto all’immigrazione illegale e rilanciata da autorità libiche e media locali come una operazione "anticlandestini, antidroga e antitrafficanti di esseri umani" che ha il sapore di una iniziativa elettoralistica del premier libico Dbeibah.

Domenica è giunta la condanna dell’Unsmil, la missione delle Nazioni Unite in Libia, con una dichiarazione della coordinatrice per gli aiuti umanitari Georgette Gagnon. La quale ha definito "arbitrari" gli arresti dei migranti rinchiusi nel centro di detenzione, tra cui donne, minori e vulnerabili ,che finora non hanno potuto ricevere cibo, acqua e assistenza sanitaria. Gagnon ha condannato anche le modalità dell’arresto, ricordando che «i migranti disarmati sono stati prelevati nelle loro abitazione, picchiati e presi a fucilate» e ha ribadito che «l’uso eccessivo e ingiustificato della forza letale da parte dei militari e della polizia durante le operazioni di sicurezza è una violazione del diritto nazionale e internazionale». Le forze di sicurezza libica hanno insomma commesso un crimine. La responsabile ha pertanto fatto appello al governo libico perché apra un’inchiesta per far luce sui fatto e ha chiesto il rispetto dei diritti umani di tutti, «compresi migranti e richiedenti asilo». Alla condanna si è associata l’ambasciata americana.

Le immagini del centro di Al-Mabani diffuse sui social media dagli attivisti dopo l’arresto ripropongono le condizioni inumane di sovraffollamento, in barba all’emergenza Coronavirus, e di mancanza di igiene di tutti i centri di detenzione ampiamente denunciate dall’Onu, dalle organizzazioni umanitarie e più volte riprese da questo giornale.



A Gargarish vivevano da tre anni migliaia di subsahariani, soprattutto eritrei, etiopi, sudanesi e somali seguiti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati i quali dopo, i combattimenti con le truppe di Haftar che avevano preso di mira i centri di detenzione, erano stati liberati. Chi poteva permettersi un tugurio in affitto ha scelto questo quartiere. Dalle testimonianze che abbiamo raccolto dagli stessi profughi, riuscivano a sostenersi senza lavoro e sussidi nel ghetto, dove erano ammassati e spesso aggrediti da gang libiche, attraverso il sistema della "hawala", un passaggio di mano di danaro su base fiduciaria che coinvolgeva le famiglie della diaspora.

Oltre alle terribili condizioni di detenzione, ha destato molta preoccupazione l’annuncio delle autorità libiche di voler provvedere al rimpatrio di persone fuggite da persecuzioni, guerre e dittature. Un ulteriore crimine. Molto probabile che alle famiglie dei 4.000 vengano richiesti soldi dalle guardie per non torturarli o per liberarli. Alcuni degli arrestati erano in lista per i ricollocamenti dell’Onu. Tra le molte segnalazioni giunte alle organizzazion di rifugiati in Italia, quella di una profuga eritrea disperata. Aspettava il marito, destinato a partire per Roma con la prima evacuazione umanitaria verso l’Italia, invece è finito nel maxi lager tripolino. Altri profughi avevano accettato di spostarsi nei campi Onu in Niger per partecipare ai corridoi umanitari. Intanto grandi trafficanti non libici come l’eritreo Abuselam sono tornati e vengono segnalati in piena attività. Non vivono a Gargarish.