Attualità

L'AFFONDO DEL PREMIER. Letta gela il Cav.: «Qui nessun perseguitato»

Giovanni Grasso venerdì 20 settembre 2013
lSe la strategia di Berlusconi e del Pdl fosse quella di puntare a logorare il governo, per arrivare a elezioni in primavera con un Pd sfiancato, Enrico Letta non starebbe lì a subire come «un punching ball». La metafora pugilistica è proprio del premier che ieri, durante la conferenza stampa seguita al consiglio dei ministri, ha risposto con parole molto chiare a una domanda dei giornalisti. Certo, il suo ruolo di capo del governo e di garante della strana maggioranza gli impongono di non replicare al discorso di Berlusconi in tv con i toni duri che per esempio ha potuto usare il segretario del Pd Guglielmo Epifani. Ma mancanza di asprezza, sembra aver voluto ribadire Letta, non significa affatto mancanza di chiarezza. E così in conferenza stampa, senza celare un certo fastidio per la rappresentazione dell’Italia come una dittatura giudiziaria, ha scandito: «Siamo in uno Stato di diritto, in Italia non ci sono persecuzioni, rispettiamo l’autonomia della giustizia e il lavoro della magistratura». E ha ribadito le sue intenzioni di non rimanere invischiato nella polemica politico giudiziaria: «Vedo che c’è la volontà di usare il governo come un punching ball, tutti se le danno di santa ragione. Noi lavoriamo, continuiamo a lavorare». E, se proprio il messaggio non fosse arrivato forte e chiaro, ha aggiunto un’altra espressione colorita: «Sulla fronte non c’ho scritto Jo Condor<+corsivo_bandiera> [un personaggio di un cartone animato degli Settanta, ndr]<+tondo_bandiera>, al momento opportuno giocheremo d’attacco». Nella lettera che ha inviato all’assemblea del Pd per chiarire la sua posizione neutrale rispetto alla contesa per la segreteria, ha ribadito quanto tenga a far bene il suo ruolo di primo ministro: «Questa volta – ha spiegato riferendosi alla sua passata partecipazione alla vita interna del Partito democratico – reputo più serio e indispensabile all’interesse dell’Italia e anche di questo partito concentrarmi solo e soltanto sull’attività di governo. Fare per bene il mio dovere. Dare risposta alle aspettative e ai bisogni di un Paese sfiancato dalla crisi che oggi chiede prima di tutto concretezza, stabilità, ragionevolezza». Una crisi di governo, infatti, ha spiegato ancora una volta Letta, avrebbe conseguenze gravi: «Se infatti il governo non ce la farà, l’uscita dalla crisi sarà più lenta e complessa, ma soprattutto sarà più difficile l’approdo a un sistema politico in cui regole elettorali e architettura istituzionale permettano ai cittadini di far discendere direttamente dal proprio voto vincitori, vinti, e quindi un governo di legislatura e un programma da applicare». Letta ha fatto notare che «il caos di avvio legislatura», con le tensioni sul Quirinale e sulla formazione del governo, «è figlio anche di regole che non funzionano». Regole che il Parlamento sta provando finalmente a cambiare con un largo consenso: una rottura del quadro politico riporterebbe le riforme in alto mare. Che il messaggio di Letta sia arrivato a destinazione lo dimostrano i commenti risentiti di alcuni esponenti del Pdl, che hanno preso di mira il presidente del Consiglio per la sua frase sull’esistenza in Italia dello Stato di diritto. Per Luca D’Alessandro con quella frase Letta «dimostra di non conoscere nemmeno lontanamente il Paese che dovrebbe governare». Eccezionalmente dura anche Mara Carfagna, portavoce del gruppo del Pdl alla Camera: «Negare l’esistenza di magistrati ideologizzati che perseguono fini politici con gli strumenti della giustizia è connivenza. No all’opportunismo», scrive l’ex ministro in un tweet. Le orecchie del premier fischiano.