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Il caso Regeni. Noury (Amnesty): «L'Egitto come le peggiori dittature L'Italia faccia intervenire gli organi Onu»

Luca Liverani domenica 10 aprile 2016
I tempi sono ormai maturi per una internazionalizzazione del caso Regeni. È ora che se ne occupino gli organismi delle Nazioni unite, come il Comitato Onu contro la tortura. E l’Italia - che l’anno scorso ha venduto pistole e fucili all’Egitto - interrompa ogni fornitura di mezzi che possono essere usati per la repressione.  La tragedia del ricercatore friulano conferma l’impennata, da un anno a questa parte, delle violenze sotto al-Sisi: «Sparizioni e torture sono ormai a livello del Cile», dice il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury.  «I riscontri delle sevizie sul corpo di Giulio sono la firma di professionisti della tortura, cioè funzionari legati allo Stato egiziano. La stessa di centinaia di altri casi, solo sotto al-Sisi. Ma la tortura è uno degli elementi del sistema di repressione dai tempi di Nasser. Le sevizie su Regeni sono la punta di un iceberg? Questa deve essere la premessa. Bisogna inquadrare questi quattro momenti - arresto, sparizione, tortura e uccisione - nel contesto di violazioni dei diritti umani in Egitto. Regeni non è un caso isolato. E la tortura si è aggravata da marzo 2015, dalla nomina a ministro degli Interni di Magdi Abdel-Ghaffar, uomo dell’apparato profondo dei servizi di sicurezza. El Nadeem, il principale centro di riabilitazione delle vittime della tortura, riferisce nel 2015 di oltre 1.100 casi di tortura, di cui 500 con esito mortale. La tortura è usata sistematicamente? Serve a estorcere informazioni, a volte l’unica prova contro imputati che - anche se civili - spesso sono processati in Corte marziale. Una situazione che monitoriamo dai tempi di Sadat, molto presente sotto Mubarak. Nel 2010 Khaled Said ad Alessandria morì per le torture. Fu la scintilla della rivoluzione del 25 gennaio 2011. Quella primavera araba non ha cambiato nulla? La tortura è proseguita massicciamente nell’interregno militare del Consiglio Supremo delle forze armate. Poi sotto Mohamed Morsi. Oggi con al-Sisi le vittime sono reali o presunti sostenitori della Fratellanza Musulmana. Ma in Egitto non c’è spoils system. . Anche grazie all’impunità, nessuno è stata rimosso ma neanche nessuno si è avvicendato. I governi passano, i torturatori restano? Apparati, sedi, persone non cambiano. Una differenza tra Mubarak e al-Sisi però c’è. Prima c’era una linea abbastanza evidente tra il tollerato e il non tollerato. Ora non c’è più: giornalisti, blogger, vignettisti, difensori dei diritti umani, avvocati, chiunque può diventare un nemico dello Stato. Anche chi fa ricerca o cultura, specie se riceve fondi dall’estero. Nel 2011 è stato chiuso l’Istituto Konrad Adenauer. Al-Sisi ha inasprito i divieti: chi fa parte di una di queste organizzazioni rischia l’ergastolo. Siamo stati in Egitto solo dopo la caduta di Mubarak. Oggi non esistiamo più. Il nostro ricercatore dell’epoca, Mohamed Lotfy, dice che da 10 anni non vive un clima così, gli sembra il Cile degli anni ’70. Per violenze e depistaggi a me l’Egitto ricorda molto il Messico attuale. Dopo la rottura con i magistrati egiziani l’inchiesta è morta?Accanto al lavoro straordinario della Procura di Roma è il momento di internazionalizzare le indagini. Ci sono meccanismi delle nazioni Unite che lo consentono: attraverso il Comitato Onu contro la tortura, oppure il Consiglio Onu dei diritti umani. Un organismo Onu ha l’autorevolezza di imporre indagini indipendenti, senza sostituire l’opera della nostra magistratura. L’Italia che sanzioni può attuare? L’Italia è stato l’unico membro dell’Ue che tra 2014 e 2015 ha venduto all’Egitto grandi quantità di pistole e fucili. Va sospesa immediatamente ogni fornitura di armi. Ma tutti i rapporti tra Unione europea ed Egitto a questo punto devono essere condizionati da un caso come questo.