Attualità

L'inchiesta. Le Rsa tornano alla normalità. «Ma nessuno pensi di richiuderci»

Fulvio Fulvi giovedì 29 luglio 2021

Gli anziani nelle Rsa non devono restare soli

Martoriate, fragilissime, dimenticate. Prima. Adesso, coi vaccini, la vita è ricominciata nelle Rsa. In quasi tutte le 4mila strutture residenziali per anziani, rimaste chiuse per una quindicina di mesi durante la fase più critica della pandemia, sono tornate nella normalità le visite dei familiari e le attività con i volontari esterni. Niente più stanze degli abbracci, smantellate un po’ dappertutto, ma incontri in presenza, anche se con distanziamento fisico, mascherine, igienizzazione delle mani, e il Green pass «raccomandato» dall’ordinanza del ministro Speranza dell’8 maggio scorso. E in Lombardia e Piemonte è stata già introdotta la gratuità del tampone rapido per i parenti degli ospiti anche se – si lamentano le famiglie – non esiste ancora una mappa che indichi dove è possibile farli. La sfida, adesso, è resistere. Alla quarta ondata, innanzitutto. Ma anche a chi ancora fra gli operatori non vuol saperne di vaccinarsi, o fra i parenti. Perché le Rsa non possono più permettersi di chiudere, al pari della scuola. E perché il Covid qualcosa deve avere pur insegnato.

Lo stato dei contagi.
Qualche micro-focolaio si è riacceso: 8 gli anziani positivi in una Rsa di Genova, 3 a Campofilone (Fermo) e in una struttura piemontese, tutti messi in quarantena. Si tratta di casi sporadici (in Europa va molto peggio, l’Ecdc ha lanciato un allarme proprio nelle ultime ore su una ripresa dei contagi), determinati dalla variante Delta, più contagiosa, che si insinua facilmente tra i soggetti ad elevata fragilità. «Non dobbiamo dimenticare che il vaccino protegge dai casi più gravi, dalle intubazioni e dalla morte – precisa Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione di psicogeriatria – e al tempo stesso non dobbiamo essere impreparati a una possibile nuova ondata nelle Rsa in autunno». E se dovesse arrivare? «Non si può tornare indietro, basta con le chiusure totali, che sarebbero devastanti, cerchiamo invece di non creare luoghi tristi dove possono entrare l’angoscia e la depressione – sottolinea Trabucchi – per questo è richiesta a tutti, gestori, operatori e familiari, una buona dose di coraggio e determinazione: si prendano i rischi del caso, perché dove domina la paura si richiude, così la speranza non entra più e si negano libertà e dignità degli anziani».​

Vaccinati e non
Dei circa 400mila degenti delle Rsa italiane, solo lo 0,31% (1.200 persone, tra allergici e refrattari) non ha ricevuto il vaccino. E si calcola che il 5% circa degli operatori sanitari si sia rifiutato, finora, di sottoporsi al trattamento. Quasi tutti “No vax”, o “Incerti vax”, spesso allontanati dai reparti. Ce ne sono ancora anche al Pio Albergo Trivulzio di Milano, dove la situazione viene definita «tranquilla, dopo le scottature subite» (gli oltre 100 morti tra gennaio e aprile 2020, ndr). «Qui i non vaccinati sono una percentuale bassissima, circa lo 0,5% degli addetti – precisa il consulente scientifico Fabrizio Pregliasco – e il ritorno alla normalità è seguito con la massima attenzione da tutti». «Quei pochi dipendenti che non hanno aderito alla campagna vaccinale sono stati messi in ferie o in cassa integrazione – precisa Franco Massi, presidente di Uneba, l’associazione che riunisce oltre mille enti di radici cattoliche – e, scaduti i termini, si provvederà a metterli in congedo senza assegni: perché chi lavora nelle Rsa deve essere vaccinato, anche se la decisione sulla loro idoneità a svolgere l’assistenza agli anziani dipende solo dal medico aziendale e non dai dirigenti della struttura».

Il caso Green pass
«Giorno dopo giorno le strutture diventano sempre più sicure – aggiunge Massi – e adesso attendiamo che da domani, alla scadenza dell’ordinanza del ministro della Salute, arrivino precise disposizioni anche sull’uso del “lasciapassare”: è assurdo che venga stabilito l’obbligo per bar e ristoranti e non per le Rsa». «La riapertura stabilita dalla circolare di maggio sulla carta metteva fine al lungo periodo di isolamento di migliaia di anziani non autosufficienti separati dai loro cari nei mesi della pandemia – denuncia però la portavoce di Senior Italia Federanziani, Eleonora Selvi – ma con disappunto dobbiamo registrare il fatto che ancora oggi, a quasi tre mesi di distanza, troppo spesso le strutture ignorano le nuove indicazioni, e i soliti limiti organizzativi impediscono di tornare a una vita normale. Ospiti e parenti aspettano col fiato sospeso il rinnovo dell’ordinanza, domandandosi cosa succederà. Chiediamo che sulle riaperture non si torni indietro ma si facciano passi avanti, dando regole più stringenti alle direzioni delle strutture, che non possono frapporre nuovi ostacoli alle visite».

Le esperienze in atto
In effetti, non tutto è rosa. «La situazione è eterogenea perché se la maggior parte delle Rsa ha preso le precauzioni necessarie – sostiene Sebastiano Capurso, presidente nazionale di Anaste, l’Associazione delle strutture territoriali per la terza età – c’è ancora molto da fare con personale spesso insufficiente: bisogna procedere con le vaccinazioni anche in previsione di una recrudescenza del virus dopo l’estate, e rendere obbligatorio il Green pass». «Una Casa di riposo non può essere un bunker e allora non bisogna abbassare mai la guardia – commenta Mauro Marcantonelli, coordinatore dei servizi della Asp “Lazzarelli” di San Severino Marche (Macerata) –, qui abbiamo applicato sin dall’inizio con rigore le disposizioni regionali e riaperto ai parenti senza più barriere di separazione, ma con l'obbligo di certificazione vaccinale e mascherina ffp2: all’esterno però le difese sembrano azzerate e sembra che non ci siano più preoccupazioni, eppure il virus circola ancora». L’emergenza non è finita. Lo sa bene anche Francesca Sebastiani, amministratrice giudiziaria de “Il Chiostro” di Artena, vicino Roma. La Casa di riposo è stata confiscata ai titolari nel luglio del 2018 dall’autorità giudiziaria in base alla legge antimafia. «C’erano 70 ospiti e 15 dipendenti sottopagati e senza contratto – racconta Sebastiani –: li abbiamo messi in regola e abbiamo messo i conti dell’azienda a posto, ma poi è arrivata la pandemia: ho chiesto al personale di chiudersi dentro con gli anziani per evitare la strage, sono stati in isolamnento 20 giorni, ce l’abbiamo fatta, e adesso abbiamo riaperto, in sicurezza, ai familiari, che sono contenti di come trattiamo i loro cari».