Attualità

L'inchiesta Capitale. Le procure contro le mafie del welfare

Antonio Maria Mira venerdì 12 dicembre 2014
Le carte dell’inchiesta su Mafia Capitale viaggiano verso alcune procure del Sud come Napoli, Catanzaro, Reggio Calabria e Catania, alla ricerca di un 'filo rosso' sugli affari di mafie e 'cupole' sul welfare, a partire dall’assistenza ai migranti. Una sorta di coordinamento per scoprire e combattere chi fa ricchi affari sulle varie emergenze sociali, su appalti e affidamenti, sulla gestione dei centri per rifugiati e rom, sull’utilizzo dei fondi, ma più in generale sul mondo delle cooperative sociali che è stato terremotato dall’inchiesta romana. Affari che si intrecciano anche con camorra, ’ndrangheta e cosa nostra. Un tema di cui si occuperà «con urgenza» anche la Commissione parlamentare antimafia e sul quale sta già lavorando l’Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone perché, accusa l’ex pm anticamorra, «è vergognoso che le persone siano trattate come merce». Per tutti è chiaro che le mafie, tradizionali e non, hanno capito al volto la possibilità di far ricchi affari sulle problematiche sociali, soldi e consenso, che sono la 'ragione sociale' di tutti i clan.  L’Anc, come ci spiega Cantone, «sta realizzando un lavoro preliminare sugli appalti nei servizi sociali a Roma e quindi anche per quanto riguarda i centri per i migranti. Cercheremo di capire come con la logica dell’emergenza si sono creati spazi per le infiltrazioni della criminalità». Un lavoro che, aggiunge Cantone, «potrebbe portare ad una delibera quadro dell’Autorità anche per questo settore che si è purtroppo dimostrato così fragile». Ma un’idea ce l’ha: «Mai più emergenza, ci siamo già scottati con le emergenze rifiuti e della protezione civile, dove le infiltrazioni hanno provocati enormi danni, ma qui parliamo di persone trattate come merce. Io mi indigno».  Non meno indignata è anche la presidente dell’Antimafia, Rosy Bindi, che, impegnata ancora alla Camera, a un sms con la domanda se «la commissione si occuperà della gestione dei fondi per gli immigrati» risponde con un secco «sì». E non solo di immigrati. Lo strumento c’è già. Si tratta del gruppo di lavoro della commissione che si deve occupare di corruzione, politica e mafie. In particolare verranno fatti approfondimenti su mafie e fondi pubblici, anche per le emergenze e le fragilità sociali, ovviamente partendo da quanto emerso sulla gestione dei centri per migranti. La Commissione aveva già intenzione di occuparsi dello sfruttamento degli immigrati, dalla tratta al caporalato, compreso il dramma di Rosarno denunciato domenica da Avvenire,  ma ora vi aggiungerà l’urgente capitolo degli appalti e degli affidamenti dei centri. Il coperchio dunque si è appena alzato e la procura di Roma punta ad un coordinamento con l’attività della altre procure che da tempo si occupano di alcuni casi di malagestione dei centri, ma anche fornendo ad altre procure il materiale sui rapporti tra la Cupola romana e le mafie romane. Infatti, scrivono i carabinieri del Ros, «le altre organizzazioni criminali presenti nel territorio riconoscevano la forza del sodalizio diretto da Carminati». L’ultimo esempio sono gli arresti di ieri nell’ambito di un patto 'alla pari' col clan ’ndranghetista dei Mancuso, con l’apertura di un Cara a Cropani Marina nel catanzarese, ma ricordiamo che già nell’ordinanza della scorsa settimana compariva l’intenzione, sempre col sostegno dei clan vibonesi e reggini, di aprire uno Sprar a Rosarno. Ma troviamo anche le 'collaborazioni' coi clan camorristi napoletani Senese e Licciardi e coi Santapaola di Catania. E proprio del capoluogo etneo ha parlato ieri in commissione Antimafia il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, annunciando il coordinamento col procuratore di Catania, Giovanni Salvi (magistrato con una lunghissima esperienza romana) partendo proprio da un Cara molto chiacchierato, quello di Mineo, sul quale la magistratura etnea ha da tempo messo gli occhi.