Attualità

Inchiesta della Dia nel Lazio. Mafia, le mire dei clan sulle farmacie

Vincenzo R. Spagnolo venerdì 5 agosto 2016
Gli appetiti delle mafie su centinaia di nuove concessioni per aprire farmacie nel Lazio? Un’ipotesi inquietante, finita sul tavolo della Direzione investigativa antimafia, che dovrà svolgere accertamenti, a partire da alcune denunce di dirigenti e funzionari regionali, incaricati delle pratiche, che hanno riferito di essere stati pedinati e minacciati.  La vicenda – emersa ieri durante una seduta della commissione Sanità, nella quale è stato ascoltato il direttore Salute della RegioneVincenzo Panella, alla presenza del segretario generale della giunta Andrea Tardiola – riguarda la mancata assegnazione di 274 sedi delle farmacie regionali (di cui 119 a Roma). Secondo quanto annunciato, le assegnazioni delle sedi ai vincitori del bando avrebbero dovuto essere firmate entro fine luglio. Ma, dopo la notizia delle minacce, la Regione ha deciso frenare dando l’annuncio, il 1° agosto, che era stato richiesto «al prefetto di Roma di attivare uno specifico protocollo operativo per il contrasto alle infiltrazioni criminali, attraverso un’azione preventiva e coordinata con gli organi investigativi ». Una linea difesa ieri in Consiglio dal presidente della Regione Nicola Zingaretti: «Sappiamo quanto il Lazio sia oggetto di infiltrazioni criminali. Ciò che ho fatto, e me ne assumo con orgoglio la responsabilità, è stato avviare un tavolo in Prefettura e col coinvolgimento della Dia, affinché sia legata la certificazione antimafia a tutte le deroghe. Non per criminalizzare qualcuno, ma a tutela delle persone perbene». Ma la decisione di temporeggiare non piace alle opposizioni di M5S e del centrodestra, che invocano trasparenza: «Se c’è una denuncia, chiediamo di poterla acquisire – ha incalzato il capogruppo della Destra, Francesco Storace, rivolto a Zingaretti –. Le domande per le farmacie le hanno fatte i mafiosi? Non è lei che lo stabilisce. Lei faccia il suo dovere, lei deve dare concessioni. Se sono mafiosi li arresteranno, ma lei non si può arrogare il diritto di bloccare investimenti». La medesima richiesta, con toni più accesi, è giunta da diversi farmacisti, riuniti in protesta davanti alla sede del Consiglio regionale in via della Pisana: «Non siamo mafiosi, siamo persone perbene! Fateci vedere le denunce di cui parlate – hanno urlato –. La prefettura ha detto che non c’è niente, siete dei bugiardi... ». Altrettanto decisa la replica del governatore: «Le denunce ci sono e le porteremo. Le autorità investigative hanno condiviso l’idea di introdurre un’ulteriore verifica preventiva a difesa della legalità. A settembre, informerò sullo stato delle cose in modo che la vicenda si chiuda nel più breve tempo possibile». Nel resto d’Italia, a far suonare campanelli d’allarme rispetto al possibile interesse di cosche mafiose nel ramo delle farmacie sono state alcune investigazioni. La più recente nel marzo scorso, condotta sulle infiltrazioni della ’ndrangheta dal procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini, stupita del fatto che «diversi giovani appartenenti a famiglie mafiose scelgano di laurearsi in Farmacia ». Quasi le stesse parole usate, nell’autunno 2015, dal procuratore capo di Salerno Corrado Lembo: «Oggi il mafioso o il figlio del mafioso studiano in facoltà ben individuate. Perché si laureano in farmacia? Perché le farmacie sono veicoli di riciclaggio...».