Attualità

Il reportage. Le mille contraddizioni del Cara di Mineo

Claudio Monici mercoledì 9 luglio 2014
​Ore tredici, cuore di questa Sicilia bruciata dal sole e dagli incendi criminali che divorano incuria e discariche abusive. Alcune persone, col cappuccio della felpa calato fino sotto al naso nonostante i 35 gradi di temperatura, scalzano le maglie della recinzione e, una dopo l’altra, strisciano fuori dal Residence degli aranci.I casi sono due. O non vogliono far sapere che stanno uscendo, oppure nessuno sa che là dentro ci stanno anche loro. Già, perché gli ospiti del “residence”, quelli che sono ufficialmente registrati, possono entrare ed uscire liberamente: per questo hanno ricevuto un documento elettronico plastificato, che non serve solo a monitorare i loro movimenti, ma anche a garantire loro il percorso burocratico per l’asilo politico e l’accredito, per ogni giorno di permanenza, di una paghetta di 2,50 euro che, alla fine della loro permanenza verrà monetizzata, se non è stata spesa prima. Dunque perché questi africani fuggono di soppiatto? E se questo fuggi-fuggi avviene in pieno sole, accanto alla portineria pattugliata da militari armati e poliziotti, anche di notte ci sarà lo stesso viavai? L’unico divieto è per chi sta fuori, come noi. Per entrare serve il nullaosta dell’Interno.Residence degli Aranci, quattromila persone e una infilata di padelle bianche che captano la tv satellitare: 400 villette color pastello, a due piani, di 160 mq. Fornite di tre bagni e aria condizionata e riscaldamento, con una media di 10, 12 ospiti per ogni casa, single e famiglie, diffuse sulla piana dove s’affaccia la città di Mineo acquattata sulla collina.Per un breve tempo, questo è stato un villaggio residenziale per i marines della base di Sigonella, e le loro famiglie. Le grigliate innaffiate da casse di birre smettono di allietare i sabati americani, molto prima del 2011. Quando, in piena emergenza immigrazione, il governo Berlusconi (ministro Maroni) “inaugura” Mineo. Questo Centro di accoglienza richiedenti asilo (Cara) è il più grande d’Europa, sempre al limite della capienza: 3mila il numero ideale di ospiti – più degli abitanti dello stesso paese – quasi mai rispettato. La discrezione degli operatori e delle forze dell’ordine si ferma sulla soglia delle villette, che sono state arredate di tutto punto dagli ospiti. Aiutati da piccoli scambi interni, piccoli commerci esterni, la paghetta. E forse anche da qualcosa d’altro.È un paese, con i suoi viali e i lampioni, la mensa che può assicurare 10mila pasti al giorno, nel rispetto delle tradizioni culinarie e religiose degli ospiti. I luoghi dove celebrare il proprio culto e le feste, l’area sportiva e quella ludica, le scuole per imparare l’italiano, chi lo vuole. L’ambulatorio sanitario specializzato, il servizio di psichiatria, l’Internet point, un bazar per piccoli acquisti, un servizio di trasferimento di soldi all’estero. Lo “sportello” legale, un servizio di sostegno per i soggetti più vulnerabili, le vittime degli abusi sessuali e di violenza, i disabili e per gli anziani soli. Una squadra di calcio che sta spopolando in un campionato minore.A sostenere lo sforzo è un Consorzio di cooperative sociali: «Cerchiamo di sviluppare un percorso per un futuro oltre l’emergenza. Li aiutiamo a vivere questo momento cercando di non farli cedere all’idea che questo luogo, per loro di attesa, sia solo un giaciglio», osserva il nostro accompagnatore. Il Consorzio percepisce 34 euro a ospite, che devono garantire pasti, vestiti, prodotti per l’igiene personale, ma anche costi di affitto, utenze e manutenzione.Dal 2011 al maggio di quest’anno, qui sono passati più di 12mila richiedenti asilo, provenienti da circa 47 nazionalità e di oltre 200 etnie. «Dobbiamo considerare questo luogo come un paese, dove, inevitabile, si riproducono le dinamiche sociali di un paese. Ci sono stati episodi spiacevoli. Ci sono le persone buone, la maggior parte, e quelle che si comportano un po’meno bene – osserva la nostra fonte –. E per tanti motivi, non solo culturali. L’attesa è snervante per chiunque. Nonostante tutto e le tante diversità etniche, il Cara di Mineo è un esempio di convivenza pacifica. E pensare che abbiamo ospiti che vengono da nazioni che sono in guerra tra di loro». Ma la strada per lo status di rifugiato è lunga, anche anni. E la pazienza cede, si fa nervosismo e a volte sassaiole. Non sempre va a buon fine. C’è una ospite che è qui dal 2011. La sua richiesta è stata respinta, ha fatto ricorso, aspetterà la legge italiana. È la Commissione territoriale di Siracusa incaricata di vagliare le domande di asilo di Mineo. Si riunisce 5 giorni la settimana. E riesce a “intervistare” 8 persone al giorno, che in genere hanno atteso 6, 8 mesi prima di questa loro prima audizione. Così comincia la pratica: «Da questo Cara non ci sono mai stai rimpatrii forzati. Chi non fa ricorso, abbandona il sistema di protezione». E scappa dalle reti.