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Lampedusa. Bartolo: stop alla propaganda. La disumanità? È anche colpa dell'Ue

Diego Motta martedì 26 luglio 2022

Pietro Bartolo è a Lampedusa, in questi giorni. Ha passato tanti anni in prima linea, come medico degli ultimi. Adesso è tornato. «Sono persone, non numeri» ripete continuamente, quando lo si aggiorna coi dati relativi alle presenze dell’hotspot in contrada Imbriacola: oltre 1.800, a fronte di una capienza di circa 300 posti. «Li ho visti tante volte dormire per terra, ammassati. È una vergogna immane» spiega, non prima di aver ricordato qual è l’andamento ciclico di queste cifre. «Si arriva anche a 2mila presenze, poi di colpo si scende, quando partono i trasferimenti ». È successo due settimane fa, sta accadendo anche adesso. L’europarlamentare di Demos eletto nelle liste del Pd è consapevole che, ancora una volta, Lampedusa diventerà teatro (o teatrino, purtroppo) del caldo agosto elettorale. «È una reazione crudele e immorale, quella di cercare voti facendo propaganda sulla pelle della gente» dice in riferimento all'annunciata visita di Salvini il 4 e 5 agosto prossimo.

Siamo in presenza di uno stato di emergenza permanente, almeno d’estate, o non è così? Distinguiamo: la situazione non riguarda l’isola, ma il centro d’accoglienza. Per intenderci: abitanti, cittadini e turisti non si accorgono di quel che accade. Se li vedessero in strada, capirebbero che i migranti sono persone. Come tutte le altre, ancor più bisognose d’aiuto per i percorsi che hanno alle spalle. In realtà, quel che giustamente indigna è la situazione che si viene a creare nell’hotspot. Occorre maggior coordinamento, con procedure e trasferimenti regolari. È ovvio che i profughi sbarcati siano sottoposti a visite e che chi sta male o ha subito violenze sia preso in carico dall’autorità sanitaria. È giusto che ciascuno di loro venga identificato, ma è anche giusto evitare che le persone risiedano poi in questa struttura in condizioni inaccetta- bili. Il ministero dell’Interno può mettere a disposizione mezzi di trasporto, come gli aliscafi, per accelerare le operazioni, aiutando chi fugge senza determinare disagi.

Chi sono queste persone che arrivano al molo Favarolo? Hanno provenienze diverse: ci sono tanti tunisini, molti adesso vengono dal Bangladesh. C’è chi ha attraversato mezzo mondo e ha affrontato il deserto, c’è chi è stato messo in mare dalla cosiddetta guardia costiera di Tripoli. L’Italia paga ancora lo scellerato memorandum firmato con la Libia. Tutto questo è disumano ed è anche colpa dell’Europa, che non ha neppure realizzato un servizio di ricerca e soccorso in mare.

Da europarlamentare, che responsabilità ha individuato a Bruxelles? Resto della mia idea originaria: chi arriva qui, arriva in Europa e può essere tranquillamente accolto dai Paesi del Vecchio continente. Abbiamo dimostrato di saper ospitare un popolo, governando un fenomeno migratorio che ha coinvolto 5 milioni di persone in fuga dall’Ucraina in un mese. Ne sono orgoglioso, da cittadino italiano ed europeo. Figurarsi se non possiamo fare altrettanto, con numeri minori, per chi arriva dall’Africa. Invece il piano della Commissione prevede di lasciare tutti i carichi di identificazione e ospitalità sul primo Paese ospitante. Questi migranti hanno diritto di arrivare e di non morire per mare. La soluzione resta un’equa distribuzione tra gli Stati.

Lampedusa sa ancora accogliere, o il dibattito politico mediatico sta cambiando la percezione del fenomeno sull’isola? Siamo e restiamo un popolo accogliente: il popolo lampedusano non ha mai chiuso le porte a nessuno e non le chiuderà. C’è chi la pensa diversamente? Sì, ma è una minoranza. Ricordo ancora chi mi diceva: 'Dottore, non siamo razzisti. Sa, però, sono troppi'. Ho sempre risposto sorridendo: 'Chi sono questi nemici di cui parlate? I bambini?'. La penso così ancora oggi. Non servono bugie, ma umanità.