Attualità

Lazio. Espulsi dal Cara, accolti in parrocchia

Viviana Daloiso e Igor Traboni domenica 21 gennaio 2018

Don Onofrio e i migranti.

«Se si sono presi cura di voi, vuol dire che Dio non vi ha dimenticati. Adesso sorridete un po’, forza». Antony, Cristian e Daniel sono seduti al tavolo di legno, nella canonica della chiesetta di Altipiani di Arcinazzo. Lassù, – a 900 metri d’altezza a cavallo tra la Ciociaria e la Provincia di Roma, dove si arriva dopo infiniti tornanti e si trovano solo silenzio, e quiete – s’è presentato a sorpresa, ieri, un altro «prete buono». Non lo sanno, chi è. Poi il giovane parroco, don Onofrio Cannato, si volta commosso: «Ragazzi, vi presento il vescovo di Anagni-Alatri, monsignor Lorenzo Loppa. La Chiesa italiana è venuta a incontrarvi».

Le parole si infilano nel microfono dello smartphone e vengono riportate ai tre nigeriani dal traduttore istantaneo. Una chiesa, d’altronde, è la loro casa da quando sono arrivati in Italia. Prima ci passavano le giornate a pregare e pulire, per poi far ritorno nel Centro d’accoglienza per richiedenti asilo approntato nel vecchio albergo del paese chiuso per fallimento. Poi, una decina di giorni fa, quando dal Cara sono stati espulsi, in chiesa hanno cominciato anche a dormire, accolti a braccia aperte da don Onofrio. Che ora si occupa di loro grazie all’aiuto dei suoi parrocchiani: qualcuno cucina, qualcuno ha dato i letti e le coperte, qualcuno passa semplicemente a chiedere di cosa c’è bisogno.

Anche adesso bussano, che c’è il vescovo, e sgranano gli occhi pensando sia un miracolo, una benedizione. Antony, Cristian e Daniel invece – in tre non arrivano a settant’anni – dallo Stato italiano sono maledetti. “Revoca dell’accoglienza”, si chiama in termini tecnici: ti sei comportato male, dice la Prefettura, non meriti più d’essere accolto. E il richiedente asilo, che in Italia deve comunque restare in attesa di documenti e di uno status, ha un solo destino: la strada. Colpa della manifestazione di protesta che i ragazzi – insieme a una cinquantina di altri – hanno inscenato a inizio gennaio, stanchi di aspettare la risposta a una domanda inoltrata da mesi. E stanchi di star fermi nella “piccola Svizzera” (così gli Altipiani di Arcinazzo venivano chiamati negli anni Settanta da tanti romani che qui costruirono le seconde case, per poi abbandonarle): 100 migranti su 200 anime residenti, una sola strada, un bar, un paio di autobus pubblici al giorno per Fiuggi. Per farsi sentire, i richiedenti asilo, hanno urlato i loro slogan incomprensibili per le strade del paesino. Uno di quegli autobus per Fiuggi l’hanno pure fermato, piazzandosi in mezzo alla strada.

Nessuna aggressione, nessuno scontro con le forze dell’ordine, che pure sono intervenute per tenere sotto controllo la situazione e consentire al pullman di transitare. I migranti, però, sono stati tutti denunciati per interruzione di pubblico servizio e per 5 di loro la Prefettura ha preso la decisione più dura: «Fuori». Uno è scappato via, su, a Bardonecchia, per affrontare la neve e passare in Francia. Un altro è stato accolto dalla Caritas di Roma. Antony, Cristian e Daniel sono stati “adottati” dal don, e dalla comunità. «La sproporzione tra numero di residenti e ospiti del Cara è stata evidente fin dall’inizio» spiega Silvio Grazioli, dal 2015 sindaco di Trevi a capo di un’amministrazione civica, avvocato e già presidente dei giuristi cattolici di Frosinone: «Sono stato sindaco anche dal 2006 al 2010 e nel 2008 fummo i primi, in tutto il Lazio, ad accogliere la richiesta del Vicariato di Roma di accogliere rifugiati. Già allora si presentarono problemi legati al numero di arrivi: ecco perché l’anno scorso sconsigliammo la riapertura di un Cara in un territorio così piccolo ». Il sindaco scrive al prefetto di Frosinone Emilia Zarrilli, assieme ai colleghi dei comuni vicini di Piglio e Arcinazzo Romano, dove pure mancano strutture per l’accoglienza.

Ma non c’è niente da fare: a maggio 2017 la stessa Prefettura destina agli Altipiani oltre 100 richiedenti asilo sistemati prima nel vecchio hotel e poi, a settembre, in due comprensori di villette, con l’accoglienza curata da Le Tre Fontane, una coop romana dalla lunga e solida esperienza nel settore. «Questi ragazzi passano le giornate ad aspettare unicamente che la Commissione interprovinciale, presieduta proprio dal prefetto di Frosinone, li convochi per verificare lo status e destinarli altrove – continua il sindaco –. Ma da otto mesi neppure uno di loro è stato chiamato, nonostante i solleciti». Ora si cerca una soluzione, e in fretta: dalla Prefettura sembra siano pronte a partire un’altra quarantina di revoche. Che svuoterebbero il Cara, certo, ma riempirebbero le strade del paese. «La soluzione sarebbe trasferirli in strutture adeguate, e lasciarne qui 15-20: vogliamo favorirne la piena integrazione, non solo farli mangiare e dormire» continua il sindaco Grazioli. «È incredibile che si faccia questo» sbotta don Onofrio, mentre si prepara a dir messa. I ragazzi sono seduti sulla prima panca. A sera chiamano casa, migliaia di chilometri sotto gli Altipiani, per dire che va tutto bene. Il don saluta le mamme, sullo schermo del telefono. Poi si va a dormire.