Attualità

La natività che accoglie. La voce del presepe sa parlare a tutti

Alessandro Beltrami lunedì 22 dicembre 2014

Quella dei presepi viventi è una tradizione viva e sentita in Italia. Dal 1223, quando San Francesco d'Assisi organizzò il primo presepe vivente nel borgo di Greccio, la tradizione si è diffusa in ogni parte d'Italia e in molti Paesi del mondo. Contribuisci a far crescere questa tradizione "postando sulla pagina Facebook (www.facebook.com/avvenire.it) di Avvenire le foto del presepe vivente che più ami. La fortuna del presepe sta tutta nella sua natura semplice: una tradizione che non sembra avere segni di cedimento e che anzi pare vivere una nuova fioritura, specie nelle rappresentazioni "viventi". Eppure attorno a quei cieli di carta stagnola e capanne di cartapesta si accende ogni anno qualche polemica. La pietra dello scandalo è la presenza del presepe nella scuola, il più sensibile tra gli spazi pubblici. A Bergamo un preside ha negato l’autorizzazione a realizzare un presepe, mentre nell’ingresso di una scuola dell’infanzia di Salerno la scena della Natività è stata rimossa dopo le proteste di una famiglia atea (ma poi le statuine sono state ricollocate dal dirigente scolastico dopo che gli altri genitori si sono detti intenzionati a iscrivere i figli altrove). Al liceo Parini di Milano il dissidio è scoppiato tra i professori dopo che una docente ha proposto di allestire un presepe nella sala insegnanti. Al termine di un confronto piuttosto acceso si è giunti alla conclusione di lasciar perdere, contro il parere – tra gli altri – di un professore di religione ebraica.

L’alibi invocato è sempre lo stesso: la necessità di non ledere la libertà altrui. Eppure, come ha ricordato venerdì papa Francesco in piazza San Pietro accendendo il "suo" presepe, queste semplici rappresentazioni parlano – anche a chi non è cristiano o non crede – «di fraternità, di intimità e di amicizia, chiamando gli uomini del nostro tempo a riscoprire la bellezza della semplicità, della condivisione e della solidarietà». Il coraggio di fare spazio al presepe, insomma, può portare solo benefici.Non è una questione teorica. «I presepi viventi sono la dimostrazione di quanto sia sbagliato vietare i presepi tradizionali nelle scuole e nei luoghi pubblici». Ulderico Bernardi è un sociologo che ha studiato in profondità i fenomeni della cultura popolare in relazione ai mutamenti sociali. «I presepi viventi sono un fenomeno molto antico e radicato. In essi la comunità dimostra che è viva e espone i suoi frutti: Gesù Bambino rappresenta le generazioni a venire». Attorno a essi sono tanti a raccogliersi, di generazioni differenti: «Sono manifestazioni della tenuta comunitaria. Quando si vuole favorire l’integrazione bisogna offrire una identità stabile con cui le altre identità possano confrontarsi. I presepi viventi sono diffusi soprattutto fuori dalle aree cittadine, dove la residenzialità è legata a paesi e villaggi e il campanile della parrocchia è ancora più importante del Comune. È un dato di fatto che nei luoghi dove si fa il presepe vivente partecipano, come spettatori o attori, molti immigrati, musulmani o dell’Est europeo. È un aspetto positivo in cui una tradizione forte diventa invito a integrarsi senza abbandonare la propria cultura».Pensare al presepe come simbolo di divisione appare dunque strumentale. «La spinta a tener conto di tutti gli ambiti di appartenenza è giusta – osserva Michele Monopoli, dirigente scolastico del liceo statale Carducci di Milano –, semmai occorre mediazione. Non credo che il presepe intacchi e metta in discussione il sentimento religioso. Lo spirito della festa dovrebbe potersi rappresentare in tutte le dimensioni. La scuola deve farsi interprete di più istanze: deve essere aperta e plurale. Non è negando la presenza del presepe che si garantisce questa pluralità».Il presepe, d’altronde, è sempre stato "plurale": «Abbiamo dimenticato che nei racconti della natività il riferimento alle altre religioni è presente fin dall’inizio» spiega lo storico Franco Cardini. «La presenza dei magi, giunti dall’Oriente, ma anche il bue e l’asinello, animali dal forte connotato simbolico, sono un rimando al mazdeismo. Come il Cristo non è nato solo per il popolo ebraico, oggi potremmo dire che non nasce solo per il popolo cristiano». Ma soprattutto la forza del presepe è nella sua attualità: «È profondamente "antimoderno" – afferma Cardini – e quindi è buono: perché il moderno è il primato di individuo, tecnologia ed economia, a scapito del senso del divino. Non è questione di passatismo, ma di osservare con lucidità la realtà. Mi spiego: il presepe è antimoderno perché è un rito comunitario, tanto quando è allestito in famiglia o quando è un evento pubblico. Questo l’ha intuito Eduardo in Natale in casa Cupiello. Nella sua celebre battuta "Nun me piace ’o presepe" c’è il rifiuto a collaborare a un’azione sacra che coinvolge tutta la comunità: la ricostruzione simbolica della Sacra Famiglia a cui opera, insieme, ogni nucleo familiare. Nel rifiuto del presepe c’è il rifiuto del noi in favore dell’io, della comunità in favore del singolo. Lo stessa immagine del presepe ci ricorda che il messaggio divino di redenzione è comunitario».