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Migranti e Covid. L'arcivescovo: «La Tunisia in crisi ha bisogno dell'Italia»

Paolo Lambruschi giovedì 5 novembre 2020

Tra Covid e crisi economica. Il premier tunisino Hichem Mechichi ha incontrato la stampa il 3 novembre e ha spiegato che le politiche per rilanciare l'economia e dare speranza al popolo sono fallite

È alta l’attenzione dopo le stragi di Nizza e Vienna. Nella giornata di lunedì, informa il Viminale, è stato allontanato dal territorio nazionale, in esecuzione del respingimento disposto dal questore di Palermo, un cittadino tunisino, segnalato dal comparto intelligence come “soggetto pericoloso”. Secondo l’intelligence si tratta del nipote del tunisino H.I., arrestato in Francia nel 2016 perché sospettato di essere a capo di una cellula terroristica che stava progettando un attentato in quel Paese per conto del Daesh. Secondo le informazioni di intelligence i due tunisini avrebbero soggiornato in Italia dal 2008 al 2015. L’uomo è stato rimpatriato con volo charter diretto in Tunisia, era stato controllato il 18 ottobre scorso dalla Digos di Agrigento in occasione dello sbarco avvenuto, insieme ad altri 16 connazionali, a Lampedusa. Nella circostanza è risultato destinatario di un provvedimento di inammissibilità in territorio Schengen inserito dalla Francia e di un precedente respingimento del 2017.

«Dopo i fatti di Nizza e Vienna abbiamo consolidato il metodo di valutazione dei fatti e di analisi del rischio. Massima attenzione ai controlli di sicurezza nazionale sui migranti che sbarcano sul nostro territorio. È necessaria l’intensificazione della collaborazione internazionale al fine di costruire una politica di sicurezza comune che appare il miglior modo per garantire la sicurezza dei cittadini europei» ha detto la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, nel corso del 'question time' alla Camera, dopo gli attentati di Nizza e Vienna.

Intanto non si fermano gli arrivi a Lampedusa, dove la scorsa notte i militari della Guardia di Finanza hanno salvato decine di migranti, tra cui donne e bambini, che stavano per finire in acqua senza salvagente, dopo che il gommone sul quale si trovavano aveva urtato uno scoglio. I finanzieri hanno visto a ridosso della banchina il grosso gommone che stava per affondare, con a bordo un centinaio circa di persone. Sporgendosi dalla banchina hanno afferrato le braccia dei naufraghi e li hanno tirati sul molo. Il gommone, dopo che i migranti sono stati salvati, è affondato.

Intervista all'arcivescovo di Tunisi

Alla Tunisia serve una cooperazione più stretta con l’Italia per rafforzare la democrazia e superare la crisi economica e sociale in cui è sprofondata per colpa del Covid 19. Arcivescovo di Tunisi dal 2013, Ilario Antoniazzi, 72 anni, è un esperto di dialogo con l’islam e di migrazioni mediterranee. E ricorda al nostro Paese, in questo momento più interessato a inviare motovedette e a rafforzare la vigilanza sulle coste tunisine, che può e deve giocare un altro ruolo in una piccola nazione con cui ha storicamente buone relazioni. Oggi il 40% dei circa 30mila migranti sbarcati in Italia proviene da questa piccola nazione (nemmeno 11 milioni di abitanti) nordafricana, cifre che non si vedevano dalla rivoluzione dei gelsomini del 2011.

Cosa è successo?

Che la pandemia ha peggiorato la situazione. Ad esempio, non abbiamo la possibilità di fare i tamponi a tutti. Anche qui è stato istituito il coprifuoco dalle 17 alle 5 del mattino che sta dando il colpo di grazia alla manifattura, al commercio e alla ristorazione mentre il turismo è crollato. Tutto ciò ha indebolito un paese fragile.

Che, però, è una democrazia...

Ufficialmente sì. Fino alla “rivoluzione dei gelsomini” sono stati dominati da dittatori. Sono andati a letto governati da un dittatore che si chiamava Ben Alì e il giorno dopo si sono alzati con un vuoto. Hanno ricominciato da capo e la democrazia è diventata un fine della nuova Costituzione. Però, come vediamo anche in Europa e in Italia, la democrazia non si costruisce in pochi anni, è un come un bambino che comincia a camminare. Deve ancora entrare nella mentalità popolare. Per questo alla Tunisia servono aiuti politici ed economici.

Quali? In Italia l’intento è rafforzare il sistema di controllo delle coste...

Il problema delle partenze non è facile da gestire. Da qui partono per l’Italia, con le barche, molti subsahariani che arrivano con facilità perché, grazie ai rapporti bilaterali con molti Paesi africani, Tunisi non richiede loro il visto. Ma sono partiti anche migliaia di giovani tunisini rischiando la vita in cerca di lavoro e credo che per loro la soluzione sia ampliare le vie legali di ingresso. Se è vero che l’Italia ha bisogno di manodopera in alcuni settori grazie ai rapporti consolidati di amicizia con la Tunisia, può attingere qui. E può anche investire sulla formazione locale in modo che salga il livello la preparazione delle persone che sono qui per non depauperare il Paese. Ogni giovane che parte come migrante, impoverisce la Tunisia. L’Italia è apprezzata in Tunisia, c’è una antica comunità italiana con passaporto o residenza tunisina che si sta spegnendo, poi sono arrivati circa 700 imprenditori italiani che danno lavoro ai tunisini. I quali partono per l’Italia pensando di trovare accoglienza, lavoro e amicizia. Credo che la direzione giusta sia quella di regolare gli ingressi.

Resta il problema delle partenze dei sub-sahariani.

La Tunisia non è responsabile per loro, la pressione è aumentata, arrivano a migliaia. Con la Caritas tunisina per i poveri lavoriamo per i poveri tunisini e per i tanti migranti di passaggio, non facciamo distinzioni. Non abbiamo possibilità di fare molte attività e non abbiamo proprietà: ci aiuta soprattutto la Conferenza Episcopale Italiana, altrimenti la nostra chiesa potrebbe fare poco.

Cosa pensa del giovane tunisino che ha ucciso tre cristiani nella basilica di Notre-Dame a Nizza?

Per me è un mistero. Qui la gente è accogliente e tollerante. Il Daesh in passato reclutava studenti universitari e laureati, adesso invece pesca tra i giovanissimi di famiglie povere in piccoli villaggi e li radicalizza. Ma il popolo tunisino è diverso.