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Strage dei Georgofili. La strategia del terrore e le "entità esterne"

Antonio Maria Mira sabato 27 maggio 2023

Ancora tre Procure indagano sulle stragi del 1992 e 1993. Unite da un unico progetto, mafioso e anche esterno a Cosa nostra. Si tratta di quelle di Firenze, Reggio Calabria e Caltanissetta, con il coordinamento investigativo della Procura nazionale antimafia, che ha un proprio gruppo di lavoro dedicato a quegli attentati. Perché è sempre più evidente che quella stagione stragista non fu opera soltanto della volontà di Cosa nostra. Per le bombe di Capaci, via D’Amelio, Firenze, Roma e Milano, e per altri gravi episodi collegati, sono stati identificati e condannati i responsabili dell’area militare, che appartengono a Cosa nostra, esecutori e mandanti, ma si sta indagando oltre per dare un nome e un cognome anche alle “entità esterne”.
Secondo le analisi investigative tutte le stragi del ‘92 e ’93, ma anche altre vicende, vanno unificate in un unico sistema criminoso, che poi si è articolato in diverse forme. Per questo, soprattutto grazie all’impegno della Procura nazionale, si sta operando per unire i pezzi del mosaico. Applicando bene il metodo di Giovanni Falcone, quello del coordinamento delle indagini. Elementi di particolare interesse stanno uscendo, soprattutto dalle inchieste di Firenze e Reggio Calabria. E proprio sulla presenza di “entità esterne”. Che, però non sono una novità. In un’informativa della Dia del 4 marzo 1994 si scriveva che c’era «la sensazione che il nuovo indirizzo stragista inaugurato dalla mafia perseguisse in realtà obiettivi che andavano al di là degli interessi esclusivi di Cosa nostra». Un documento riemerso nel corso del processo “’ndrangheta stragista”, che ha portato alla condanna all’ergastolo il 25 marzo di Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio (responsabile dell’omicidio di don Pino Puglisi) e di Rocco Santo Filippone, esponente della cosca ‘ndranghetista dei Piromalli, per l’attentato che il 18 gennaio 1994 portò alla morte dei due carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo.
Una sentenza che ha confermato l’adesione, almeno iniziale, della ‘ndrangheta al progetto stragista. Oltretutto proprio i carabinieri dovevano essere obiettivo della sesta bomba in “continente”, contro un loro reparto in servizio allo stadio Olimpico, il 23 gennaio 1994. Attentato fallito o fermato all’ultimo. E proprio a Reggio Calabria, Graviano ha cominciato a fare qualche ammissione su presenze esterne alla “strategia stragista”. Così come a Firenze dove, lo ricordiamo, risultano ancora indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Ma Graviano ha fatto delle ammissioni strane che servono più che altro a destare l’attenzione della politica che è stata coinvolta in quegli anni. Come dire «attenzione che io so». Graviano non è collaboratore di giustizia, e sembra soprattutto preoccupato di attenuare le sue condizioni carcerarie (è pluriergastolano al 41bis). Ma sicuramente sa. Così come Matteo Messina Denaro, condannato all’ergastolo sia per le stragi del ’92 che per quelle del ’93. Andò lui in “continente” per organizzarle ma non rappresenta solo la componente militare. «Il suo livello gerarchico in Cosa nostra trapanese, il suo rapporto coi corleonesi, Riina prima e Provenzano dopo, fa sì che molte cose fossero da lui conosciute», ci spiega un investigatore che conosce bene l’ex superlatitante. «Il progetto dell’attacco allo Stato lo deve necessariamente sapere, avendo partecipato alle due riunioni, soprattutto quella a Castelvetrano, in cui venne deciso. È a conoscenza della strategia, conosce alcuni risvolti, partecipa al gruppo ristretto» aggiunge. Ma potrebbe parlare? «Io credo che soltanto una matabolizzazione della sua condizione a livello interiore, rispetto alla sua malattia, potrebbe farlo cambiare. Il Messina Denaro che abbiamo conosciuto non faceva errori gravi. Almeno fino a maggio 2022. Poi ha cominciato a fregarsene. Però non ci sono evidenze tali per farci dire che potrebbe fare questo passo. Perché dovrebbe farlo? Nessuno dei vertici coinvolti nel folle momento stragista ha finora collaborato».
Parla, invece, in tutte e tre le procure, Paolo Bellini, terrorista neofascista di Avanguardia Nazionale, condannato all’ergastolo il 6 aprile del 2022 per la strage avvenuta il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Killer politico, poi killer per la ‘ndrangheta, propone a Cosa nostra di fare attentati a monumenti (parla della Torre di Pisa, ma come non pensare agli Uffizi e alle chiese romane), e di recupero di beni culturali rubati in cambio dell’attenuazione dei regimi carcerari. Lo fa prima delle bombe. Un inizio di trattativa? Di sicuro è in rapporti con i Servizi segreti e con uomini delle forze dell’ordine. E con lo stesso Messina Denaro. «Non si può pensare che Bellini abbia detto facciamo saltare un po’ di monumenti e loro come scimmie vanno a mettere le bombe. È troppo semplicistico. C’è altro dietro. E sicuramente Messina Denaro lo sa».
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