Attualità

Il rapporto. La scuola formato Pil premia solo l’Oriente

Paolo Ferrario giovedì 8 maggio 2014
Trasparenza, responsabilità e merito. Se l’Italia occupa stabilmente le posizioni di retroguardia nelle classifiche internazionali dei livelli d’istruzione, è anche perché questi tre valori non sono ancora ben radicati nella cultura del Paese. Ne è convinto Roberto Gulli, presidente di Pearson Italia, casa editrice leader a livello mondiale nel campo dell’istruzione e della formazione, commentando i risultati dell’indagine “La curva dell’apprendimento”. Realizzata autonomamente dall’Economist Intelligence Unit (Eiu) su incarico di Pearson, sarà diffusa oggi a livello internazionale. La ricerca, infatti, mette a confronto i sistemi d’istruzione di 50 Paesi nel mondo, utilizzando più di sessanta indicatori per stilare l’Indice globale sulle capacità cognitive e il raggiungimento dei livelli d’istruzione. Tra i fattori analizzati per compilare la classifica dei Paesi più virtuosi, ci sono i dati dei test internazionali Ocse-Pisa, le valutazioni Timms e Pirls, ma anche dati nazionali riguardanti l’istruzione (spesa pubblica, età di ingresso nella scuola, salari dei docenti e possibilità per i genitori di scegliere il tipo di scuola), oltre che il tasso di raggiungimento del diploma e della laurea. Pur avendo guadagnato alcune posizioni, negli ultimi otto anni, nella classifica Ocse del livello d’istruzione dei 15enni (passando dal 37° al 32° posto nelle competenze in Matematica e dal 33° al 28° in Lettura), l’Italia viene dopo tutti i più importanti Paesi industrializzati, che investono molto di più nell’istruzione dei giovani. Il primo posto assoluto dell’Indice globale stilato dall’indagine Economist-Pearson è occupato dalla Corea, che guadagna una posizione rispetto all’edizione precedente (2012). Sul secondo gradino del podio troviamo il Giappone, mentre sul terzo Singapore. L’Italia è 25^ (una posizione in meno), subito dopo la Francia e la Svezia e davanti ad Austria, Slovacchia, Portogallo e Spagna. In fondo alla classifica ci sono Brasile, Messico e Indonesia, Paesi economicamente emergenti ma ancora arretrati sul versante dell’istruzione dei giovani.«Non tutto si misura in termini di punti di Pil – avverte Gulli – e questi Paesi sono in fondo alla classifica dell’apprendimento perché, come emerge dall’indagine, la considerazione sociale degli insegnanti è molto bassa, la loro remunerazione è scarsa e la cultura della responsabilità praticamente inesistente».Più o meno lo stesso, fa notare Gulli, avviene in Italia, dove «studenti, insegnanti e famiglie» sono invece chiamati a «giocare un ruolo positivo» con «spirito cooperativo» teso alla soluzione dei problemi.«Il punto chiave per rilanciare l’immagine dell’Italia – fa notare il presidente di Pearson Italia – è valorizzare davvero la funzione della scuola e il ruolo degli insegnanti. Che devono essere formati meglio (e anche pagati di più) per poter andare nella direzione del cambiamento. Da noi questo non avviene perché non siamo ancora riusciti a dare il giusto valore al merito».In questo senso, la volontà del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, di legare il prossimo rinnovo del contratto di docenti e presidi anche ai risultati dei test Invalsi, costituisce «un primo passo positivo», anche se non risolutivo.«Non ci si può sottrarre alla valutazione – avverte Gulli – che deve essere utilizzata per migliorare il sistema e non certo per sanzionare gli insegnanti, che rappresentano un valore nazionale e come tale devono essere riconosciuti».Priorità all’istruzione («Che fa aumentare il Pil») e rivalutazione del ruolo degli insegnanti, vanno di pari passo con il rafforzamento della collaborazione scuola-famiglia, un rapporto che deve essere «collaborativo» e non «antagonista». «La priorità dei genitori – conclude Gulli – non è difendere i figli dagli insegnanti, ma aiutare i docenti a svolgere bene il compito di educare i ragazzi. Come già fanno nella grande maggioranza dei casi, nonostante l’indifferenza che li circonda».