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Regeni. La scoperta delle torture e il silenzio dei ministri. J'accuse dei genitori

Redazione Internet mercoledì 5 febbraio 2020

Nella ricostruzione della vicenda davanti ai parlamentari la madre e il padre del ricercatore ucciso all’attacco delle autorità italiane: «In Egitto diritti violati. Ma nessuno cerca la verità» Le «zone grigie» che coprono la verità su Giulio Regeni non si trovano solo in Egitto, dove «un regime paranoico fa sparire ogni giorno nel nulla 3-4 persone» e nella poco collaborativa Cambridge, «con cui abbiamo chiuso i rapporti». Ma anche in Italia, che continua a mantenere al Cairo un ambasciatore «che persegue obiettivi diversi dalla giustizia e da tempo non ci risponde».

Paola Deffendi e Claudio Regeni, genitori del giovane ricercatore friulano, assistiti dalla legale Alessandra Ballerini, lanciano il loro j’accuse dall’aula della Commissione parlamentare d’inchiesta. Dove raccontano anche di essere costantemente spiati dagli egiziani. In tre ore di audizione i Regeni ricostruiscono meticolosamente 4 anni di incontri, promesse, depistaggi, omissioni, stranezze, chiedendo alla Commissione di «smuovere la politica. Perché se la politica non collabora a creare un clima favorevole, la procura di Roma non riesce ad andare avanti». Per i magistrati della Capitale, infatti, è tutto fermo al dicembre 2017, quando sono stati iscritti nel registro degli indagati i nomi di cinque funzionari degli apparati di sicurezza egiziani. Da allora nessuna risposta alla rogatoria inviata al Cairo.

L’ultimo sms di Giulio risale alle 19.41 del 25 gennaio 2016, quando esce di casa per incontrare l’amico Gennaro Gervasio dalle parti di piazza Tahir. All’appuntamento non arriverà. Gervasio contatta subito l’ambasciata italiana per segnalare il fatto. Il cadavere del ricercatore viene trovato il 3 febbraio. L’ambasciatore Maurizio Massari – superando le resistenze egiziane – va a vedere il corpo sfigurato dalle torture. «Non ci ha detto niente per tutelarci, ma noi l’abbiamo scoperto leggendo i giornali ed è stata una super-botta», fa sapere Paola Deffendi. I genitori riferiscono poi dei vari incontri istituzionali, dall’allora premier Matteo Renzi «che il 7 marzo ci ha detto di presentarci senza legali», al successore Paolo Gentiloni «che il 20 marzo 2017 voleva convincerci che prima o poi sarebbe stato il caso di rimandare l’ambasciatore al Cairo».

Non viene risparmiato Angelino Alfano, all’epoca ministro degli Esteri, né l’attuale titolare della Farnesina Luigi Di Maio. «Se entro il 28 novembre non ci sono novità nella collaborazione alle indagini, ci dice – spiegano i due – ritiriamo l’ambasciatore ». E mentre le richieste al Cairo rimbalzano come su un muro di gomma, è l’accusa dei Regeni, «l’ambasciatore italiano Giampaolo Cantini da molto tempo non ci risponde. Evidentemente persegue altri obiettivi rispetto a verità e giustizia, mentre porta avanti con successo iniziative su affari e scambi commerciali tra i due Paesi».

Ma alla fine perché è stato ucciso Giulio? «La ricerca che stava conducendo e sulla quale lui aveva delle perplessità – secondo Ballerini – non è la risposta. Altri facevano ricerche potenzialmente più pericolose della sua. È stato ucciso perché si trovava in un regime paranoico dove tutto può succedere e non c’è il minimo rispetto per i diritti umani». Un regime, è il motivo della rabbia delle madre e del padre del ragazzo, con cui l’Italia continua a fare affari.