Attualità

LA STORIA. «La mia croce per Schiavone, l’ex re dei rifiuti»

Maurizio Patriciello mercoledì 4 settembre 2013
La nostra terra langue. La nostra gente muore. Ieri si sono svolti i funerali di Filomena, 27 anni e due bambini. Il dolore è immenso. La paura anche. I veleni industriali interrati nelle campagne ci stanno presentando il conto. Lo Stato è afono, scarse sono le soluzioni prese, scarsa la sensibilità politica. La gente si organizza. Nascono comitati di cittadini, di professionisti, di giovani stanchi e delusi. Si bussa a tutte le porte. Dopo l’intervista dell’ex camorrista, il pentito Carmine Schiavone, decido di scrivergli una lettera aperta. A distanza di una settimana mi fa sapere che è contento di vedermi. Lo incontro, insieme a pochi amici. Rimaniamo a parlare per una mattinata intera. Un fiume in piena, Carmine Schiavone. Niente di nuovo, si intende. Lui ha già detto tutto nei processi che lo riguardano. Ma un conto è leggere i giornali, altra cosa è trovarsi davanti a un uomo creato a immagine di Dio, redento dal sangue di Cristo, che racconta la sua storia di soprusi, di violenza, di omicidi. A Schiavone chiediamo notizie più dettagliate sui siti inquinati. Dove sono stati interrati quei rifiuti? Di quanti milioni di tonnellate si tratta? C’è speranza per il nostro popolo?Lui non si nega. Risponde. Racconta di come si cominciò a fare arrivare i rifiuti in Campania e perché. Loro, i camorristi, all’inizio, ammaliati dall’affare milionario, non avevano compreso bene di che cosa si trattasse. Anche i contadini, che davano l’assenso perché le immondizie tossiche venissero interrate nelle loro terre, non sapevano bene cosa stesse accadendo. Schiavone racconta di intrallazzi tra camorra e politici corrotti; forze dell’ordine e industriali del Nord. Tante cose già le sapevamo, altre le abbiamo da sempre immaginate. Non capisco come sia stato possibile per gente tanto scaltra e navigata lasciare avvelenare le proprie terre, le terre dei loro antenati. Glielo chiedo. E lui, il pentito, confessa che fu proprio quando si rese conto del male fatto a se stesso, alla sua famiglia, ai figli dei suoi figli, che decise di pentirsi. Tra i siti certi, indica il campo sportivo di Casal di Principe. Mio Dio, il campo sportivo, il luogo dove giocano i ragazzi? Sarà vero? Occorre verificarlo in fretta. Quel luogo deve diventare icona di rinascita, di vita nuova. Continua, il pentito, a raccontare di affari illeciti, omicidi e connubi maledetti. È pessimista. Non crede ci sia molto da fare per bonificare la nostra terra. Ci vorrebbero miliardi di euro. E allora si lasciano le cose come stanno. È convinto, Schiavone, che tutti siano a conoscenza dello scempio. Vedo i miei amici asciugarsi gli occhi. Faccio fatica a seguire il discorso fino in fondo. La mia mente vaga. La banalità del male e le sue orribili conseguenze mi avvinghiano in un vortice. Che fare? Prendere per oro colato tutto ciò che dice? Sospettare che sia qualche motivo che non conosciamo a fargli dire queste cose? Ci salutiamo. Con gesto spontaneo sfilo dal mio collo la croce di legno che sempre mi accompagna e gliela dono. Siamo addolorati, stanchi, increduli. I cittadini della "Terra dei fuochi" si stanno rivelando stupendi e instancabili e, civilmente, chiedono una risposta da parte dello Stato. La attendono, oggi più che mai. Se Schiavone ha detto il falso, vogliamo essere rassicurati dalla voce amica di uno Stato amico. Se, purtroppo, ha detto il vero, abbiamo ancora di più il diritto di sapere come sono andate le cose e che strada si intende intraprendere. La vita dei nostri cari ci è preziosa più dell’oro. Il solo pensiero di saperli in pericolo ci toglie il sonno.