Attualità

Palazzo Madama. La Lega paralizza il Senato, la maggioranza finisce già in affanno

Marco Iasevoli mercoledì 25 settembre 2019

Sembrava tutto semplice, e invece non lo era affatto. Il piano di Salvini, far proporre a 5 Regioni guidate dal Carroccio un referendum per cancellare la parte proporzionale dell’attuale legge elettorale, si sta arenando di fronte alla resistenza di Forza Italia. Berlusconi ha dato l’ordine secco ai suoi consiglieri regionali di astenersi sulle mozioni proposte dal Carroccio, «per non spaccare l’alleanza». È un’astensione pesante perché fa mancare i numeri. Così ieri la Liguria e la Sardegna hanno dovuto prendere tempo e il Piemonte si è fermato alle pregiudiziali, mentre Lombardia e Veneto aprono oggi la pratica. Ma la posizione di Berlusconi è chiara: togliere la parte proporzionale del Rosatellum non darebbe certezza di governabilità e sarebbe penalizzante per i partner più piccoli dell’alleanza di centrodestra. Ergo: se Salvini non vuole correre il rischio di perdere le prossime regionali e anche le prossime politiche, freni i suoi propositi e si sieda a un tavolo di maggioranza trattando con pari dignità la componente moderata. Il leader del Carroccio sembra comprendere e ha iniziato a mandare messaggi rassicuranti, al punto che un vertice a tre con Berlusconi e Meloni sembra imminente.

Per il capo del Carroccio, rinunciare alla forzatura referendaria sarebbe un discreto danno d’immagine. Ma la proposta che ha fatto Berlusconi sta persuadendo anche i vertici della Lega: varare una strategia unica sull’imminente manovra e sul negoziato più generale che riguarderà la legge elettorale. Il Cav. sa bene che anche nella maggioranza M5s-Pd ci sono frizioni su proporzionale e quota maggioritaria, e ritiene che Fi possa giocare una partita centrale sia per tenere in vita la logica delle coalizioni sia per garantire rappresentatività alle formazioni più piccole rispetto ai 'Moloch' Lega, M5s e Pd.

Sull’altra parte della barricata, le cose non procedono con maggiore serenità. Oggi la capigruppo alla Camera deciderà la data in cui l’Aula dovrà fare la quarta lettura della riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari. Di Maio vuole che la misura-simbolo sia varata entro fine ottobre, prima di entrare nel cuore della sessione di bilancio. Il Pd non ha intenzione di alzare cortine fumogene, ma sia Leu sia i dissidenti pentastellati annunciano un voto negativo se non ci sarà contemporaneità tra riforma costituzionale e legge elettorale. Il tavolo sul sistema di voto che doveva partire subito dopo la fiducia a Conte, e poi immediatamente arenatosi, deve ora necessariamente essere convocato per evitare una pesante impasse della maggioranza. Impasse che ieri si è palesata proprio nella commissione-chiave, la Affari costituzionali del Senato. Il leghista Calderoli per due volte ha mosso le truppe in modo da far mancare il numero legale. «Uno a zero per noi», ha esultato l’ex ministro delle Riforme dei governi Berlusconi. Le Camere sono davvero in una situazione di stallo, con la maggioranza giallorossa a rischio minoranza negli uffici di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama e la Lega per nulla disposta a cedere le presidenze di commissione prima del previsto.