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Reportage. Febbre del crack a Torino, «così dilaga la droga dei poveri»

Danilo Poggio, Torino martedì 22 ottobre 2019

Desolazione e abbandono nel quartiere periferico Vallette, dove è diffuso lo spaccio (Claudia Favaro)

Casermoni, graffiti, sfilze di palazzi e palazzetti, cemento e rassegnata desolazione. E in qualche angolo, in casa, sulle scale di un condominio, su una panchina divelta e persino in auto, c’è chi fuma crack senza neppure guardarsi intorno. In un giorno d’autunno le periferie della città che fu la capitale industriale di Italia presentano il loro aspetto più lugubre. A colpire, soprattutto in alcune zone, è il silenzio, interrotto da qualche clacson e poco altro: in via delle Primule o in via delle Querce, solo per fare due esempi, si può anche camminare per diversi minuti senza incontrare nessuno.

Nei quartieri che si sono sviluppati quando Torino era una one company town e il boom industriale ha portato alla costruzione di interi quartieri dormitorio, oggi c’è sempre meno gente. L’industria se ne è andata, il lavoro è quasi introvabile e sui numerosi parchetti creati per i figli delle famiglie operaie oggi è calato l’oblio. Falchera, Vallette, Barriera di Milano, Mirafiori, ma anche le periferie dei centri della cintura metropolitana, come Settimo, Venaria, Orbassano, Nichelino: il panorama è sempre più o meno lo stesso. Ed è in questa cupa vastità che cresce e dilaga l’uso del crack. Provoca psicosi, stati paranoici, schizofrenia, aggressività e alienazione, ma una dose può costare anche soltanto cinque euro. Insomma, è alla portata di tutti.

A Torino i luoghi della droga non esistono quasi più, sono esplosi in mille frammenti disseminati in tutta la città. E infatti i decessi per overdose (sette accertati e uno sospetto da inizio anno nella zona metropolitana) non si concentrano in particolari aree: si muore nella periferia nord di via Livorno, all’aperto, tra le siepi di un parchetto, ma anche sotto i portici vicino alla stazione ferroviaria, nello scantinato di un palazzo di Orbassano o persino in una camera di albergo. In passato il luogo ideale del consumo era la panchina, nelle piazzette del quartiere Vallette, ma oggi la situazione è molto diversa. «L’individualismo sfrenato della nostra epoca – spiega Giovanni Alessandri, psicologo e responsabile della Comunità S. Pierre di Torino – appartiene anche al mondo delle tossicodipendenze. Se negli anni Ottanta e Novanta si consumava droga in gruppo, in una sorta di rito, pur nella devianza, oggi il sentimento del “noi” è sparito. Chi fuma crack lo fa quasi sempre in solitudine: ci sono 35enni o 40enni, magari anche con famiglia, che spariscono per intere giornate, richiudendosi da qualche parte per fumare e crearsi una sorta di pericoloso rifugio mentale». Una disperazione individuale che rende ancora più difficile il lavoro degli operatori. «Attecchiscono le droghe povere – racconta Renato Armenio, responsabile progettazione del Centro torinese di solidarietà –, soprattutto dove c’è violenza, aggressività, sottocultura. Interveniamo con incontri di gruppo per aiutare i minori segnalati dalla prefettura a rielaborare l’esperienza per cambiare il comportamento e offriamo accoglienza notturna specifica per i senza fissa dimora con problemi di dipendenze. Negli altri dormitori si creano troppi conflitti. Rispondere ai bisogni primari è l’unico modo per tenerli agganciati in qualche modo ai percorsi di recupero», evitando che diventino veri e propri fantasmi.

A Torino le periferie si trovano anche in pieno centro città. È l’ambiguo caso di Porta Palazzo, la piazza che al mattino ospita il più grande mercato all’aperto d’Europa, presente in tutte le guide turistiche, mentre dal tardo pomeriggio in vendita ci sono solo stupefacenti. Valdocco e la Basilica di Maria Ausiliatrice si trovano pochi isolati più in là, in quella “terra santa” salesiana in cui Don Bosco nell’Ottocento portò il suo oratorio e fondò i Salesiani per aiutare ed educare i giovani più poveri. In quello che più volte è stato definito il suk, alle spalle della piazza, proseguendo per corso Giulio Cesare, si arriva fino alla Dora. Le rive, intorno al ponte Mosca, tra indecifrabili murales, sono forse l’ultimo luogo “del buco” rimasto in città: «Periodicamente facciamo pulizia – spiega Lorenzo Camoletto del gruppo Abele – e lasciamo cartelli con le norme di base per cercare di ridurre i danni, per contagi e overdosi. Indubbiamente negli ultimi tempi l’uso di sostanze di strada si è stabilizzato, non è ulteriormente sceso, ma, rispetto alle overdosi di trent’anni fa, i numeri sono nettamente minori». Gli stupefacenti, anche a Torino, non sono appannaggio esclusivo delle fasce più deboli della popolazione, ma per la droga dello sballo bisogna spostarsi in altre zone della città. Al parco del Valentino, per esempio, dove basta fare una passeggiata per sentirsi offrire da giovani (e giovanissimi) ragazzi di colore dosi di “fumo” a buon mercato, di differenti qualità e provenienze. Oppure, soprattutto nelle serate del fine settimana, si può andare nella centralissima piazza Vittorio, o nello storico quartiere di San Salvario o anche in zona Santa Giulia: nei luoghi della movida torinese, lo spaccio (di hashish, marijuana e di ogni forma di droga sintetica) è continuo. È sufficiente guardarsi intorno con l’aria di chi cerca qualcosa: in pochi minuti, arriveranno infinite proposte di acquisto.