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Intervista. Zanda: «La Cgil sbaglia, così mina la democrazia»

Marco Iasevoli giovedì 12 gennaio 2017

Il pericolo più grosso, un referendum sull’articolo 18, il Pd l’ha scansato. Ma a Luigi Zanda, presidente dei senatori dem, le «letture politiciste » non piacciono: «I promotori avevano formulato un quesito che avrebbe fatto nascere una nuova disciplina e che quindi non poteva essere ammesso. Il resto è dietrologia».

Tuttavia non si può negare che sia una sentenza positiva per l’attuale fase che vive il Partito democratico...
Alle sentenze della Corte non si affiancano aggettivi. Si tratta di una decisione di natura giuridica. Personalmente la ritengo molto equilibrata. La Consulta non è andata contro il governo quando ha corretto pesantemente nostri provvedimenti e non è andata contro la Cgil oggi. Semplicemente, in questi tempi di grandi trasformazioni, gli interventi della Corte hanno un impatto più forte sulla vita del Paese.

Dunque non condivide le parole di Camusso dopo la sentenza?
Per nulla. Mi sembra esagerato dire di voler ricorrere alla Corte europea. Significa contestare il massimo organo di garanzia della Repubblica, metterne in dubbio il ruolo di tutela dei diritti e dei valori costituzionali. Le democrazie parlamentari hanno equilibri fragili che così vengono ulteriormente minati.

Resta il delicato quesito sui voucher, oltre a quello sugli appalti: il Pd è pronto ad affrontare un altro referendum politicamente sensibile?
Aspettiamo le motivazioni. Escludo che la Consulta giudichi incostituzionale tout court lo stru- mento-voucher. Possibile che sottolinei gli abusi. In tal caso ci sarebbero gli spazi per evitare la consultazione attraverso una stretta, una regolamentazione più ferrea che però salvi il buono dei voucher, ovvero l’emersione di una fetta di lavoro nero. L’iniziativa può prenderla anche il Parlamento.

E se non bastasse per evitare il referendum? Il Pd inviterebbe di nuovo all’astensione?
Mi lasci dire in tutta franchezza che non vedo più praticabili inviti all’astensione in questo mutato clima dell’opinione pubblica. Un partito deve avere una linea chiara ed esprimerla.

In generale, la sentenza prolunga la vita della legislatura e dell’esecutivo?
La durata del Parlamento e dell’esecutivo passano per altri due snodi. Il primo snodo è il 24 gennaio, con la sentenza della Consulta sull’Italicum. Il secondo snodo è il successivo lavoro per omogeneizzare le leggi elettorali di Camera e Senato come ha chiesto il presidente Mattarella. Questo lavoro può durare pochi giorni se c’è un accordo po-litico, molti mesi se non c’è.

Ma lei ritiene che ci sia una maggioranza al Senato disposta a concordare una nuova legge elettorale dopo il 24 gennaio?
Sì. C’è la maggioranza che sostiene l’esecutivo e lavorerà perché si aggiungano forze di opposizione.

Il vero tema è che chi vuole scrivere la legge elettorale insieme al Pd magari non ha interesse ad andare al voto a giugno...
Ma vede, sin dall’inizio io dico che questo governo ha davanti a sé un tempo definito. Ma è un dato oggettivo: la primavera del 2017 o febbraio 2018 sono, politicamente, scadenze imminenti. Quando precisamente si andrà a votare dipende dall’evoluzione della partita della legge elettorale e da quale sarà il momento in cui il Parlamento non sarà più in grado di lavorare, di produrre atti e leggi. Oggi davvero non saprei fare previsioni.

Saprà però prevedere se si va verso un proporzionale o un sistema anche parzialmente maggioritario...
Questo scenario, purtroppo, ce l’ho abbastanza chiaro: nell’immediato futuro del Paese vedo governi retti da coalizioni di 4, 5 e anche 6 partiti... Questo è uno dei probabili esiti del referendum del 4 dicembre, un esito che a me non piace affatto ma che dobbiamo accettare e rispettare.

E in ottica di future alleanze per governare lei ritiene che il Pd debba dialogare con il tentativo che sta facendo Pisapia a sinistra?
È un dialogo che auspico fortemente. La sua azione mi pare molto positiva per tutto il centrosinistra.

Più imminente rispetto al voto è l’inizio dell’iter per istituire una commissione d’inchiesta sulla banche. Il Pd ha fatto bene ad appoggiare questa iniziativa? Su questo tema il Senato deve assumere come linea la massima trasparenza al fine di capire gli errori e di evitarne in futuro. Allo stesso tempo ci vuole senso di responsabilità nel difendere il sistema bancario italiano, nel complesso solido.

Affiderebbe la presidenza della commissione d’inchiesta a M5S o a un’altra forza d’opposizione?
Data la rilevanza del tema, ritengo che la presidenza debba essere assunta da un esponente della maggioranza.