Attualità

DOPO LA RIVOLTA. La Calabria oltre Rosarno dove l’integrazione vince

Nello Scavo mercoledì 27 gennaio 2010
Anche stavolta sono tornati in Calabria per le feste in famiglia. Un lungo viaggio in autostrada fino al bivio di Rosarno. Ma non è quella la meta. Ancora 60 chilometri di strada provinciale e Isoke, Blessed e Domingos sono di nuovo a Caulonia. «È così da anni. I rifugiati che accogliamo, formiamo professionalmente e che poi trovano lavoro al Nord, tornano qui per le festività – racconta il sindaco Ilario Ammendolia – proprio come fanno i cauloniesi emigrati».Gli ultimi a tornare, però, arrivavano da molto vicino. Ancora traumatizzati, sabato si sono presentati cinque giovani di colore seriamente feriti durante le “cinque giornate” di Rosarno. Sono rifugiati politici di Togo, Guinea e Ghana. Due sono stati ospitati a Riace, l’altra capitale di un’accoglienza studiata anche all’estero.La Calabria che non t’aspetti è all’esatto opposto di Rosarno. Di là il Tirreno, di qua lo Jonio. E non è solo una questione geografica. Ammendolia è uno storico esponente della sinistra. Uno a cui in fondo non dispiace passare per ex comunista. «Però – ripete – devo riconoscere che al ministero dell’Interno abbiamo trovato persone sensibili al problema, disponibili a venirci incontro e a incoraggiarci non solo a parole nel nostro desiderio di accoglienza e rilancio dei borghi».Pochi giorni prima il Comune aveva preso in affitto altri appartamenti disabitati (una volta Caulonia contava sei frazione e il doppio dei settemila residenti di adesso) per dare una casa a 74 rifugiati palestinesi. Sono parte di un gruppo di 178 persone (gli altri 55 sono arrivati a Riace), che l’Italia ha deciso di invitare su sollecitazione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Si tratta di profughi fuggiti molti anni fa dai territori palestinesi verso l’Iraq, trovando le braccia aperte di Saddam Hussein. Dopo la caduta del regime sono stati fatti oggetto di violenze. Respinti dalla Siria, hanno trovato riparo nel campo di Al Tanf, lungo una striscia di deserto tra Siria e Iraq. «La Calabria non è solo quello che abbiamo visto nei giorni scorsi a Rosarno – ha osservato Laura Boldrini, portavoce dell’Unhchr – ma è anche un luogo dove è possibile dare risposte concrete  all’integrazione».Ernest e Yakhim di Caulonia e Riace sapevano già. Gliene avevano parlato gli altri immigrati di colore accampati a Rosarno e che nell’agosto scorso vinsero un torneo di calcio organizzato a Caulonia Marina. Certo non pensavano di finire dall’altra parte dell’Aspromonte dopo due settimane in una corsia d’ospedale, tra fasciature e cicatrici che non andranno via.Nel legame tra gli anziani del posto e i giovani scampati alla caccia al nero c’è qualcosa di più che un momentaneo impulso solidale. A qualcuno gli spari contro gli schiavi a basso costo deve aver ricordato il 6 marzo 1945, quando nacque la “Repubblica Rossa di Caulonia”. Anche allora il “sindaco-presidente” era un ex insegnate comunista. Durò sei giorni, con i contadini a insorgere contro i ricchi possidenti. Anche quella volta ci fu chi esagerò: almeno ottanta braccianti furono selvaggiamente bastonati, due morirono per le torture subite. Ferite mai del tutto sanate. E per la gente della Locride è stato facile sentirsi più vicini ai neri mandati all’ospedale che non ai propri corregionali di Rosarno.Fin dalle prossime settimane gli ultimi arrivati saranno messi all’opera. Artigianato, turismo, edilizia, agricoltura. Faranno da guardiaboschi, armati di macchine fotografiche e videocamere con cui incastrare gli incendiari e i ladri di legna. Poi sarà riaperta una vecchia falegnameria chiusa anni fa e nella quale torneranno ad essere prodotte soprattutto cassette per la frutta. Le donne potranno apprendere l’arte del merletto mentre altri studieranno da infermiere o mediatori culturali. «Per tutti – ribadisce Ammendolia – è obbligatorio un corso propedeutico di lingua e cultura italiana, di Diritto ed educazione civica». Finora ha funzionato.La ’ndrangheta però non sta a guardare. Ai boss la rinascita economica dei borghi perduti non piace. E non piace soprattutto il viavai di “sbirri” e giornalisti anche dall’estero. A Mimmo Lucano, sindaco di Riace, hanno avvelenato i cani del figlio e sparato contro il suo ristorante. L’ultima intimidazione la commentò così: «Il fatto è che questo modello di imprese nate dal basso, di opportunità e di riscatto sociale, fa proseliti e perciò impensierisce qualcuno». E tanto a Rosarno quanto a Caulonia e Riace «si sa benissimo chi è questo qualcuno».