Attualità

Il caso. La bambola «gender free» è davvero un gioco di libertà?

Luciano Moia giovedì 26 settembre 2019

Le immagini più inquietanti non sono quelle della bambola di genere fluido, che come un puzzle può assumere, cambiando vestiti e parrucche, sembianze femminili o maschili in base alle cangianti preferenze del bambino o della bambina che la sceglie come passatempo.

No, a disorientare è il video scelto dalla Mattel per pubblicizzare la sua nuova bambola senza genere. Si vedono alcuni piccoli che, in base alle diverse inquadrature, sembrano assumere tratti ora da lei ora da lui. Da un lato lunghe chiome trattenute da fermagli leggiadri, dall’altro sfumature da bulletti, in un girotondo di suggestioni dal significato fin troppo trasparente.

C’è un maschietto con i capelli azzurri e una femminuccia con un taglio da marine. Ma tutti giocano e sorridono, scambiandosi le bambole del progetto globale 'Creatable world' che – recita lo spot – offrono fino a cento combinazioni diverse di abiti, accessori, parrucche, colore della pelle. A lasciar intendere che nulla come un genere inclusivo e caleidoscopico apre la strada a una felicità senza barriere e senza stereotipi. L’intento dell’iniziativa commerciale – che l’azienda americana ci assicura studiata da un team di genitori, medici e bambini – può forse essere positivo. Creare cioè una linea di bambole 'libere da ogni etichetta' per permettere ai bambini di esprimersi senza barriere. Ma qualche dubbio sorge. Siamo davvero sicuri che presentare ai più piccoli una bambola senza alcun carattere evidente, né femminile né maschile, possa davvero risultare una scelta pedagogica vincente? Se per certi versi erano criticabili le forme estreme della 'vecchia' Barbie, ma anche le spalle iperboliche di Big Jim, simboli di una femminilità conturbante e di un machismo dai risvolti ambigui se non deprecabili, la soluzione vincente non può essere quella di azzerare tutto in nome di una falsa neutralità.

A tal punto che la nuova bambola è talmente libera da stereotipi di genere da poterli accogliere tutti, senza distinzioni, in una girandola di caratteri incerti e altalenanti. Solo un gioco? Certo, ma ogni genitore sa che i bambini, giocando, si rifanno a interpretazioni fantastiche di modelli reali. E pensare quindi che la stessa bambola – ma nello spot si applicano gli stessi criteri anche ai bambini – possa diventare di volta in volta un po’ più femmina o un po’ più maschio, suggerisce obiettivi commerciali che sembrano strizzare l’occhio alle più banali interpretazioni dell’ideologia gender. Quella vulgata secondo cui solo la fluidità sessuale può aprire la strada alla realizzazione di un sé senza le costruzioni obbligate del binarismo di genere. Pretese che non di rado si frantumano nella sofferenza di personalità disturbate e inquiete. Perché l’incertezza sessuale esiste davvero e, quando diventa patologia, si chiama disforia di genere. Ma difficilmente i piccoli che ne sono colpiti – pochissimi per fortuna ma terribilmente reali – pensano di poter giocare con l’incapacità di ritrovarsi nei caratteri sessuali che la natura ha loro assegnato. E vorrebbero che quel 'gioco' non fosse mai cominciato.