Attualità

Educazione. "Più fondi per i bambini nel NextGenEu"

Massimo Calvi giovedì 10 dicembre 2020

Investire nell’educazione e nell’istruzione dei più piccoli è il modo migliore per far crescere il loro benessere e le competenze, migliorare la qualità della vita dei genitori e allo stesso tempo immaginare un Paese con più elevati tassi di sviluppo e maggiore coesione sociale. E’ per questo che l’Alleanza per l’infanzia, con la rete #educAzioni, ha deciso di entrare nel dibattito sui fondi del Next Generation Eu (il Recovery Fund) per proporre di destinare una parte di questi, circa 5 miliardi sui 209 complessivi, al miglioramento e all’ampliamento dei servizi educativi per la fascia di età da 0 a 6 anni. Creando al contempo dai 40.000 ai 60.000 nuovi posti di lavoro.

La proposta è molto chiara e mira a correggere uno storico fattore di debolezza del sistema educativo italiano rispetto all’Europa più avanzata: portare la copertura pubblica dei servizi educativi per i bambini sotto i 3 anni ad almeno il 33% in ciascuna regione, con accesso gratuito per assicurare a tutti i piccoli il diritto all’accesso al nido entro il 2030; elevare al 95% in tutte le aree del Paese la copertura della scuola dell’infanzia per i bambini da 3 a 5 anni, assicurando il tempo pieno e la parziale gratuità delle rette, mense comprese.

Un progetto di rafforzamento del sistema educativo non può prescindere da chi educa: per questo l’Alleanza per l’Infanzia suggerisce di innalzare le professionalità richieste a chi lavora in questo ambito e migliorare salari e condizioni di lavoro. Il raggiungimento degli obiettivi a favore dei bambini può portare a 42.600 nuovi posti di lavoro da educatore a tempo pieno, o 60.000 se si prevedesse un rapporto educatore-bambino di 1 a 5 e non di 1 a 7.

La proposta permetterebbe all’Italia di compiere un passo avanti significativo nell’accrescimento del benessere e delle competenze dei bambini, come dimostrano tutti gli studi internazionali in questo campo. E aiuterebbe i genitori che lavorano a realizzare i desideri di fecondità, con effetti positivi nel contenere la povertà infantile. Attualmente, tra nidi pubblici, convenzionati e privati il livello di copertura dei servizi educativi per i bambini sotto i 3 anni è fermo al 25%, con gravi carenze al Sud. E ad essere esclusi sono soprattutto i figli di genitori a basso reddito e bassa istruzione, dunque chi avrebbe maggiormente bisogno. Tantopiù che la rinuncia all’iscrizione al nido non dipende da una mancanza di volontà, ma proprio dalla carenza di posti nei servizi del pubblico o convenzionati, quando non dal costo delle rette se solo il privato è disponibile. La situazione è migliore per le materne, ma in molti casi il tempo parziale e senza mensa, in particolare al Sud, scoraggia le iscrizioni. Con rinunce che spesso riguardano i figli di genitori stranieri.

I costi della proposta? Servirebbero circa 4,8 miliardi di euro in conto capitale per aumentare i posti al nido dagli attuali 159.849 a 298.848, cifra di poco più alta a quanto proposto sull’uso del fondo Next Generation Eu, e 2,7 miliardi di spesa corrente annua da finanziare con la fiscalità generale. Un altro miliardo e 325 milioni l’anno sarebbe necessario per rendere gratuito il servizio, mentre 120 milioni permetterebbero di generalizzare il tempo pieno nella scuola dell’infanzia, e poco di più per rendere anche la mensa gratuita. Non costi, in ogni caso, ma un investimento fondamentale, per un Paese che ha drammaticamente bisogno di prendersi cura delle generazioni più giovani aumentando i livelli di educazione, anche nella prospettiva di rafforzare le prospettive di occupazionali e di dare più opportunità alla crescita del capitale umano e sociale.