Attualità

Le riforme. Italicum e giustizia, 72 ore di trattativa

Marco Iasevoli venerdì 19 settembre 2014
Ci sono 72 ore di tempo per definire il nuovo Patto sulle riforme siglato mercoledì da Renzi e Berlusconi a Palazzo Chigi. E la sfida per il premier è una: convincere il Cavaliere ad accettare le preferenze, perché la minoranza Pd al Senato - in realtà maggioranza numerica in Aula - non ne vuole sapere nulla nemmeno della mediazione che prevede il capolista bloccato e gli altri lasciati al giudizio degli elettori. «In un sistema che prevede una sola Camera che dà la fiducia, 300 parlamentari nominati sono troppi», è scritto in una bozza di documento di Area riformista. E ieri la strategia per influire sull’Italicum è stata al centro di un vertice di bersaniani e cuperliani. Con le preferenze secche il leader di Forza Italia dovrebbe ingoiare un boccone amaro (ma «saranno modifiche concordate», assicura), e perciò ha preso tempo, come ha confidato in prima persona ai coordinatori regionali azzurri convocati a Palazzo Grazioli per lanciare la stagione congressuale del partito, per annunciare entro «pochi mesi » il ritorno alla piena agibilità politica (il Cavaliere confida in una sentenza della Corte europea che annulli il giudizio Mediaset) e per chiamare alle armi alla luce del profondo rosso nei conti di partito (la sede di San Lorenzo in Lucina è a rischio-sfratto). La sensazione è che per accettare un simile compromesso sull’Italicum, Berlusconi voglia avere voce anche su altri capitoli delicati dell’azione di governo, in particolare la giustizia. Diversi parlamentari forzisti ieri assicuravano che a Palazzo Chigi, merco-ledì, si è parlato di falso in bilancio e prescrizione. «Non possiamo fare i donatori di sangue mentre il Pd, su altri temi, cancella quello che abbiamo fatto noi», era il verbo che passava di bocca in bocca in Transatlantico. Ovviamente, al Nazareno si nega ogni ipotesi di 'scambio'. La partita sull’Italicum dunque non è facile. La minoranza dem ieri ha provato a frenare. «Ci sono già tensioni sui temi economici, scaricare sul Parlamento la legge elettorale non è la scelta giusta», dice il bersaniano Alfredo D’Attorre. Subito rintuzzato dai renziani Roberto Giachetti e Stefani Collina: «Si rassegni, è una priorità». E il dirigente Pd che più conta in questa partita, Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali al Senato, non si scosta dalle indicazioni del premier: «La settimana prossima incardiniamo il testo». A frenare su tempi e modi c’è anche Ncd che vuole vederci chiaro e capire in cosa consista l’accordo sulle soglie. Dato per assodato il passaggio dal 37,5 al 40 per cento dei consensi per evitare il ballottaggio, il partito di Alfano vuole che la nuova legge elettorale tenga aperta due strade: la corsa solitaria (per la quale ora è richiesto un minimo dell’8 per cento) e la corsa in coalizione (che pretende dai partiti piccoli di raggiungere almeno il 4,5). Insomma, è necessario che le soglie scendano.  C’è poi il timore trasversale che chiudere sull’Italicum voglia dire correre alle urne anticipate. È la grande paura che detta l’eterno ritorno del 'lodo Lauricella' già presentato alla Camera, in base al quale la legge elettorale dovrebbe entrare in vigore dopo l’approvazione del ddl sul nuovo Senato. Ma non passerà. Ieri a Palazzo Chigi il clima era positivo. Il report del Fondo monetario ha dato una mano e incoraggia a proseguire. Il risultato in Commissione sul jobs act anche. Se si arriverà al 15 ottobre con la delega sul lavoro approvata dal Senato, e l’Italicum ben avviato, allora potrebbe partire la lettera per Bruxelles - già pronta - che chiede ufficialmente di derogare dagli obiettivi sul deficit per la «situazione di eccezionale gravità» del ciclo economico, clausola prevista dal Patto di stabilità e crescita. Oggi intanto il Cdm licenzia il decreto legislativo per la dichiarazione dei redditi precompilati.