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Legge elettorale. Italicum, la maggioranza tiene Ma l’esame slitta a metà febbraio

Marco Iasevoli sabato 1 febbraio 2014
La prima è andata. L’asse Renzi-Berlusconi-Alfano supera senza troppe perdite la prova del voto segreto sulle pregiudiziali di costituzionalità presentate da M5S, Sel e Fratelli d’Italia. Tuttavia qualche malumore sull’Italicum è emerso. Quando la maggioranza è stata chiamata ad esprimersi - a voto segreto - sulla possibile incostituzionalità del testo, i «si» sono stati 154 e i «no» 351 (cinque gli astenuti: il montiano Balduzzi e i popolari Dellai, Binetti, Rossi e Santerini). Quando invece si è dovuto votare - a scrutinio palese - sulla richiesta dei grillini di riportare il testo in commissione Affari costituzionali, la maggioranza è salita a 377. Considerando gli assenti, i "franchi tiratori" sono stati poco più di una ventina. Pochi per Matteo Renzi, che temeva peggio: «Abbiamo tenuto, ora avanti così», ha detto il segretario Pd.Il sindaco di Firenze è sembrato molto meno felice quando ha appreso il nuovo calendario dei lavori. Durante la riunione dei capigruppo, il Pd - sostenuto dai forzisti - ha chiesto di riprendere l’esame dal 4 febbraio, ma la presidente della Camera ha opposto il problema dei decreti in scadenza. Dopo quanto accaduto sul dl Imu-Bankitalia, Boldrini ha preteso tempi più distesi per la conversione dei decreti, e ha dato precedenza a "Terra dei fuochi" e "svuotacarceri". L’Italicum, insomma, riprenderà il suo difficile volo solo dall’11 febbraio. Non solo: la terza carica dello Stato, dopo i durissimi scontri con M5S, ha offerto 22 ore di dibattito, la possibilità di triplicare gli emendamenti per ogni gruppo e di presentarli sino alle 24 ore precedenti (le proposte di modifica già sono al momento più di 400).La "linea morbida" di Boldrini ha indispettito Renzi, che ora teme una dilazione dei tempi rispetto alla sua tabella di marcia (M5S potrebbe usare in particolare lo "svuotacarceri" per fare ostruzionismo). Tuttavia il segretario ha preferito non aprire polemiche dirette, lasciando solo ad un suo uomo di fiducia, Angelo Rughetti, il compito di lanciare l’avvertimento: «Non provino a riportarci nella palude».La seduta di ieri si è tenuta di nuovo in un clima di grande tensione. I "franchi tiratori" hanno agito come al solito con discrezione. M5S e Fratelli d’Italia hanno invece fragorosamente lasciato l’Aula dopo i voti sulla costituzionalità, aprendo una nuova pagina nella gloriosa storia dell’Aventino parlamentare (e sul paradosso scherza abbondantemente in Transatlantico l’ex msi Ignazio La Russa). La Lega invece per protesta non si è proprio presentata. Diversi grillini, poi, al momento di lasciare i seggi hanno mostrato un bavaglio. Al momento le modifiche concordate sono quelle che alzano al 37 per cento la soglia minima per agguantare il premio di maggioranza, abbassano al 4,5 la soglia da raggiungere per i partiti coalizzati e inseriscono le candidature multiple. Ma tra i 400 emendamenti, e tra quelli che arriveranno, le insidie saranno tante. Potranno formarsi su singoli punti (e a voto segreto) maggioranze trasversali pericolose per l’intesa complessiva. Sembra scongiurato l’agguato sulle preferenze, ma tra primarie regolate per legge, salva-Lega, conflitto d’interesse e "salvaguardie" vare c’è materiale in abbondanza per costringere Berlusconi a sfilarsi. Il segnale più positivo per Renzi è che ieri proprio la minoranza ha voluto esternare la compattezza del gruppo, pur ribadendo - insieme ad Alfano - che non mollerà la battaglia sulle preferenze.