Attualità

Milano. L’Islam e noi, civiltà alla prova

Lorenzo Rosoli venerdì 30 maggio 2014
Islam in Italia. Moschee nelle nostre città. No all’«approccio frettoloso» e ai «colpi di slogan» che «non sono d’aiuto a nessuno». Sì a soluzioni «accoglienti e rispettose della libertà di culto»: perché «se non c’è luogo di culto, la libertà di culto non è compiuta». Ma la «prima questione» è e resta «l’esistenza di una comunità che vive, ama, lavora a Milano e prega a Milano, quindi ha l’esigenza di un luogo di culto». Che sia proporzionato «al suo bisogno reale». E se l’islam milanese è realtà plurale, sia plurale la soluzione, con «più moschee nei vari quartieri». A parlare è l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, a margine della presentazione del progetto della Fondazione Oasis Conoscere il meticciato, governare il cabiamento.Un progetto che nell’arco di due anni intende formare una task force di studiosi ed esperti capaci di esplorare in profondità la realtà del «meticciato di civiltà e di culture» in Italia – nel quadro della presenza crescente di immigrati e dei rapporti sempre più stretti fra Occidente e mondo musulmano – e di offrire alla società civile e alle istituzioni contributi utili ad affrontare le sfide nuove di un tempo di mutamenti radicali. Sfide come il pluralismo religioso. Che genera il bisogno di nuovi luoghi di culto nelle nostre città.Un tema molto avvertito a Milano. Dove però polemiche e «colpi di slogan», per dirla con Scola, hanno spesso preso il centro della scena, lasciando nell’ombra quella trama di relazioni ed esperienze di dialogo con l’islam – additate dall’arcivescovo, sgorgate negli ultimi venti-trent’anni dal vivo della società civile e della Chiesa ambrosiane – autenticamente «orientate all’amicizia civica» e «segno di speranza per la città». Ebbene, di cos’ha bisogno questa città dove troppe volte il luogo della preghiera è costretto fra scantinati e garage? «Io ci terrei fosse un luogo dignitoso – afferma Scola – perché la bellezza è via alla verità. Ma bellezza non è grandiosità». Il cuore della questione, insiste Scola, è «chi edifica il luogo di culto, chi lo vive, quale comunità. Lì bisogna proporzionare l’edificio al bisogno reale. Può darsi che in questa fase più moschee nei vari quartieri risponda meglio alle esigenze del culto e sia la premessa, in futuro, per una realtà più consistente. Il Duomo di Milano, d’altronde, ci ha messo un po’ di secoli per venire...».Favorevoli alla «moschea di quartiere» si sono detti Abd al-Wahid Pallavicini e Abd al-Sabur Turrini, presidente e direttore generale Coreis (Comunità religiosa islamica), intervenuti alla presentazione del progetto sul meticciato. Che non è un fine da perseguire, ha chiarito Scola, ma «un processo in atto». Che chiede di essere conosciuto, per viverlo e governarlo senza subirlo: la sfida è «orientare questo cambiamento verso il bene pratico dell’essere insieme, tanto caro alla tradizione ambrosiana». Sei gli ambiti del progetto (illustrato da Martino Diez e Maria Laura Conte di Oasis, alla presenza di Giuseppe Guzzetti, presidente di Fondazione Cariplo, che sostiene l’iniziativa): secolarizzazione e nuove forme di religiosità; fondamentalismo e violenza; media e religioni; dialogo islamo-cristiano; libertà di religione, di espressione, di conversione; politiche dell’Italia e dell’Europa verso il mondo musulmano. Il progetto, col suo approccio «comunitario, internazionale e interdisciplinare», affiancherà giovani ricercatori italiani ad esperti di vari Paesi (come Hassan Rachik, Ibrahim Shamseddine, Riccardo Redaelli, Francesco Botturi) e vedrà l’organizzazione di sei grandi incontri in luoghi significativi di Milano e d’altre città italiane. Info: www.conoscereilmeticciato.it