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Dibattito. Io, musulmana, difendo il crocifisso ma dico: non strumentalizzatelo

Asmae Dachan martedì 31 luglio 2018

La recente proposta della Lega di esporre obbligatoriamente il crocifisso nelle scuole, negli uffici pubblici e nei porti ha suscitato, come si sa, polemiche. In questa circostanza il dibattito non si incentra, però, sulla laicità e sull'opportunità o meno di usare simboli religiosi, ma su un uso degli stessi che appare strumentale e politicizzato. Il crocifisso sembra chiamato in causa come un segno di demarcazione, uno spartiacque tra 'noi' e 'voi' che sembra forzare la mano e definire 'i buoni' e 'i cattivi'.

Non credo affatto che questo sia il modo giusto per onorare e rispettare il crocifisso e lo dico da credente, anche se di una fede religiosa diversa. Sono musulmana, nata e sempre vissuta in Italia e il crocifisso fa da sempre parte della mia vita e della mia cultura; per questo ne difendo fermamente l’esposizione là dove è presente, quindi anche nelle scuole, ma non sono felice che diventi un simbolo politico, soprattutto in un clima teso e anche verbalmente violento come quello odierno. Ho sempre frequentato scuole dove il crocifisso era su tutte le pareti ed era un simbolo rispettato, vissuto.

Ricordo che prima di ogni verifica o quando qualcuno stava male, i compagni più religiosi si rivolgevano alla croce chiedendo aiuto e raccomandavano anche a me di «pregare a modo mio» affinché tutto andasse bene. Quel simbolo ci univa, rappresentava una speranza. Quella speranza di cui tutti abbiamo un profondo bisogno, per esempio, quando siamo in ospedale e ci sentiamo vulnerabili e tristi. Anche in questa circostanza vedere un crocifisso ricorda che la vita non finisce tra quelle quattro pareti, ma che sopra di noi e dentro di noi c’è l’immensità di Dio, quindi, la speranza, la fede, il vero antidoto alla sofferenza.

Per me il crocifisso è tutto questo e sono fiera di portarlo come simbolo sulla mia divisa da volontaria di Croce Rossa. Ai miei occhi il crocifisso fa emergere la parte più bella di noi e vederlo strumentalizzato come semplice oggetto, senza un accompagnamento di sentimento e fede, non mi piace. In questo frangente chi lo vuole imporre non sta facendo appello alle coscienze, alla pietas, alla solidarietà, ma al «divide et impera».

Il crocifisso non si impone, è una storia che si insegna, e si rispetta. Molti dei miei amici sono cristiani praticanti e la nostra frequentazione, unita alle diverse letture che ho sempre fatto, mi hanno permesso di cogliere, oltre al significato simbolico e affettivo del crocifisso, anche quello più puramente teologico. Dio che si fa uomo e per amore dei suoi figli sale sulla croce e si sacrifica, insegnando il perdono e il dono di sé per il bene degli altri. Non è necessario abbracciare teologicamente questi significati per rispettarli e per apprezzarne la forza e la bellezza.

Il crocifisso è un inno alla bontà verso il prossimo, all'accoglienza dell’altro e – come già detto – alla speranza. L’immagine del crocifisso si collega a quella della pietà, con Maria madre che piange il figlio morto stringendolo a sé. Un’immagine che ricorda le donne di ogni tempo e ogni luogo, che piangono per la perdita dei propri figli. Un altro particolare su cui ho sempre riflettuto è che nelle immagini del Cristo risorto Gesù ha sempre le mani aperte, come ad accogliere l’altro, ad accarezzarlo. Da sempre desidero che nel mondo musulmano si operi una separazione tra politica e religione; vorrei che quest’ultima fosse espressa come spiritualità e non fosse più ostaggio dei potenti di turno, che ne fanno un mezzo di controllo e di condizionamento delle masse. Per tutte queste ragioni credo che il crocifisso appartenga sì ai cristiani, ma sia anche un simbolo che entra nel cuore di chi ne adotta e ne rispetta il messaggio e mi preoccupo di una sua possibile strumentalizzazione politica.