Attualità

La storia. Io, fotografo a rotelle, sulle strade di Milano

Lorenzo Rosoli sabato 30 giugno 2018

Milano, i grattacieli di Porta Nuova. Foto di Giorgio Monopoli

«Da quando sono in carrozzina faccio più foto. Non sono fotografo "nonostante" la mia disabilità: sono una persona con disabilità che ha deciso di vivere la sua vita fino in fondo. Compresa la vocazione per la fotografia che mi accompagna fin da ragazzino, quando mio padre ebbe in dono dalla sua ditta una macchinetta Agfa. Ho iniziato allora, non ho più smesso. Ora ho 61 anni. E da quando non lavoro più – prima esodato, poi finalmente pensionato – posso dedicarmi pienamente alla fotografia». Giorgio Monopoli, nato e cresciuto a Milano, dall’età di sei anni residente a Quarto Oggiaro, alla periferia nord del capoluogo lombardo, s’illumina, a parlare della passione che lo tiene – letteralmente – in movimento. Da sempre.

«Le fotografie? Si fanno con il cuore»

«Avevo un anno e mezzo quando la poliomielite mi colpì. Fino a una decina d’anni fa riuscivo a camminare. Con i tutori facevo tutto. Anche le foto. Da quando la schiena non mi regge, uso la carrozzina. Ma l’ho voluta leggera, "sportiva", per passare dappertutto», sorride Giorgio, "fotografo a rotelle" – rubiamo la definizione all’indimenticato "giornalista a rotelle" Franco Bomprezzi. «Quando è in giro a fare foto e c'è da "cogliere l'attimo", è velocissimo, spericolato e anche testardo», incalza Leyda, peruviana, che si prende cura di Giorgio con una dedizione che nasce dall’amicizia. «Giorgio è uno spirito libero. Da lui ho imparato che le fotografie si fanno con il cuore», prosegue la donna, laureata in scienze della comunicazione come il marito, anch’egli peruviano, anch’egli chiamato, di tanto in tanto, ad affiancare Giorgio nei suoi reportage.

Tra fotografia di strada e reportage

«Amo la fotografia di strada. Il problema? Muoversi in carrozzina, certo. Da cittadino con disabilità – riprende Giorgio – dico che sull’accessibilità Milano ha ancora molto da lavorare, nei luoghi pubblici come sulle strade. Agli incroci ci sono scivoli a conchiglia che da soli è impossibile fare. E le piste ciclabili, idea che condivido, a volte sono un ostacolo in più. Ma per chi fa fotografia di strada un grande problema sono ormai le regole sulla privacy. Ho un sacco di belle immagini che non potrò mai pubblicare. Così ho iniziato a dedicarmi al reportage. E così è nata la mostra Liberi di essere che ho fatto con l’Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare) di Milano, o il lavoro che ho iniziato con i domenicani di Santa Maria delle Grazie». Un reportage, questo, «nato da una mia idea accolta dai domenicani: il desiderio di recuperare quella dimensione spirituale dell'esistenza che oggi stiamo perdendo». La mostra realizzata con l'Uildm, mostrando la vita quotidiana di persone affette da distrofia muscolare, vuole lanciare questo messaggio: «La vita, ogni vita, può essere vissuta fino in fondo – insiste Giorgio – sfidando, insieme, le barriere architettoniche e quelle barriere mentali che sono l'ignoranza e il pregiudizio».

«Dalla carrozzina entro nello sguardo dell’altro»

Cosa significa fare foto da una carrozzina? «Significa vedere il mondo come lo vedono i bambini, dalla loro altezza, cercando di avere la loro curiosità, il loro stupore. Così vedi e fotografi quello che gli adulti non vedono più». Ma c’è dell’altro: «Chi ti sta davanti è impossibile che non si accorga di te – spiega Giorgio –. C’è chi vede anzitutto il fotografo. E c’è chi vede il disabile. E nei suoi occhi, magari, ci leggi un bel "poverino" rivolto a te. In ogni caso: sei nello sguardo dell’altro. E questo ti porta dentro la realtà che fotografi. Anche se sono in carrozzina, comunque, non mi sono mai sentito privato della mia libertà di fotografo». Come si può vedere in www.giorgiomonopoli.net, Giorgio ama far dialogare immagini e parole, anche grazie ai testi scelti con l’aiuto della moglie Marinella, anche lei disabile.

L'importanza di quel che resta fuori (dalla foto)

«Giorgio è uno spirito libero, una persona forte e coerente. Lo dimostrano anche le sue inquadrature», suggerisce Leyda. «Nell'inquadratura – riconosce a sua volta Giorgio – a volte tronco in modo netto, drastico, le figure e le forme, come a dire: quello che vedete nella foto non è un mondo compiuto, autosufficiente, non finisce lì. C'è dell'altro, fuori. La ricerca – la pretesa – dell'inquadratura perfetta è come la pretesa di avere una risposta per tutto. Esprime una visione semplicistica della vita». Conferma la sua libertà e la sua apertura alla complessità del reale lo sguardo di Giorgio su Milano, ritratta nei luoghi insoliti, periferici, della vita quotidiana, come in quelli "canonici", i monumenti antichi piuttosto che i nuovi grattacieli, ma ritratti sempre senza retorica. E con una curiosità rispettosa, delicata, solidale con gli esseri umani, come mostrano ad esempio le foto in cui appaiono gli umili, i mendicanti, gli artisti di strada. «Perché amo la fotografia? Perché mi permette di comunicare attraverso il mondo esterno quello che ho di più intimo e di esprimere il mio interesse e la mia passione per l’essere umano».