Attualità

L'INTERVISTA. Severino: un dono per chi ha fame di speranza

Danilo Paolini venerdì 29 marzo 2013
​Da papa Benedetto XVI a papa Francesco, dal carcere di Rebibbia a quello minorile di Casal del Marmo. Seduta alla scrivania del suo studio in via Arenula, è lo stesso ministro della Giustizia Paola Severino a far notare questa «straordinaria» coincidenza che ha caratterizzato il principio e la fine del suo incarico. Sarebbe stato difficile perfino immaginarlo, osserviamo. «Se avessi voluto ipotizzare una regia di questo mio periodo da ministro della Giustizia, non sarei mai riuscita a sognare una cosa più bella», è la sua risposta.Con il Papa a Casal del Marmo, di Giovedì Santo, per la Messa "in Coena Domini". Tra i tanti significati possibili, ne scelga uno.È la chiusura straordinaria di un percorso, di un anno e mezzo eccezionale della mia vita. Un percorso che, appunto, si è aperto con la visita a Rebibbia di Benedetto XVI nel 2011 e che si è chiuso così, tra i ragazzi di Casal del Marmo insieme a papa Francesco. Due personalità diverse, ma entrambe attente alla necessità di essere vicini alle persone solitamente lasciate sole dalla società. Persone che, nel conforto della religione o di figure di riferimento come questi due Papi, possono trovare grande consolazione. Le espressioni con le quali questi giovani guardano al Papa sono quelle di chi ha bisogno di un modello, di una figura paterna. Tanto che nelle lettere che gli hanno scritto, alcuni lo hanno chiamato «Papà»... Negli occhi di Francesco ho visto tanto amore e spirito di servizio. Mi ha colpito il suo invito ai ragazzi: «Non lasciatevi rubare la speranza». Parole che danno un senso speciale al nostro "custodirli".Già da arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Bergoglio usava celebrare la Messa "in Coena Domini" tra i bisognosi: poveri, malati, detenuti. Quanto "bisogno" c’è in una realtà come quella di Casal del Marmo?Tantissimo. È un discorso valido per tutti i detenuti minorenni. Avvertono l’esigenza di cambiare, di fidarsi, di sperare. Spesso non hanno una famiglia o, se ce l’hanno, li ha cresciuti nella sub-cultura dell’illegalità. Non di rado sono analfabeti, a volte vengono sfruttati dai loro familiari e costretti a commettere reati. La forte percentuale di recidiva tra gli ex-detenuti giovani è dovuta proprio a questo fenomeno. Il vero problema di un detenuto minorenne è l’uscita dal carcere, non l’ingresso, che anzi è il momento in cui comincia ad avere delle regole.Ma farcela da soli è dura. Come aiutarli?L’intera società è chiamata a farlo, non si può delegare il recupero soltanto all’opera, preziosa, del volontariato. Il lavoro, per l’ex-detenuto minorenne o adulto, è il punto di partenza: oltre il 97% delle persone che trovano un’occupazione dopo aver lasciato il carcere non ricadono nella criminalità. Si deve creare una cultura sociale, che in Italia manca, per cui chi ha sbagliato non è escluso a vita. Il fatto che tra i suoi primi impegni, e in una giornata molto significativa come il Giovedì Santo, Francesco abbia scelto di visitare un carcere minorile rappresenta un’occasione per un risveglio delle coscienze verso questo problema.Ci può raccontare come è nata l’iniziativa?Posso dire che, appena ho visto il Papa affacciarsi dalla Loggia delle benedizioni, sono stata colpita dal suo sguardo profondo e dalla sincerità dei suoi accenti. Mi sono detta: «Mi piacerebbe invitarlo a visitare un carcere insieme». La mattina dopo, per le vie informali, ho fatto presente questa ipotesi, che il Pontefice ci ha fatto l’onore di rendere realtà.Tra le «periferie esistenziali» che Francesco ci esorta a frequentare c’è quella carceraria. Lei, da ministro, lo ha fatto molto spesso. Che situazioni ha trovato?Ho trovato abissi di disperazione e picchi di speranza. E anche picchi di qualità tra coloro che nelle carceri lavorano. Ogni visita è un segnale di speranza che va al di là dell’esigenza, che è e resta fondamentale, di risolvere problemi drammatici come quello del sovraffollamento. Perché la visita è la società che entra nel carcere. E se la società è rappresentata dalle istituzioni, ciò è ancora più importante per il detenuto. In realtà difficili come San Vittore, Poggioreale, Marassi, dove pensavo di trovare rabbia e critiche, ho al contrario constatato la gioia di ricevere la mia visita: strette di mano, sorrisi, detenuti che tenevano la mia fotografia nell’armadietto, uno mi ha regalato un mio ritratto dipinto a olio su tela... Ed erano visite non preannunciate! Mi sono chiesta e ho chiesto loro perché. La risposta è stata che un ministro che entra nelle celle e osserva da vicino come vivono, dove dormono, che cosa mangiano, dà l’idea che c’è qualcuno che si occupa delle loro enormi difficoltà.Per i minorenni è vigente l’istituto della "messa alla prova" con sospensione del processo, che lei ha cercato di estendere anche agli adulti con il disegno di legge sulle pene alternative, silurato sul traguardo da alcuni gruppi politici. Nutre qualche speranza che venga ripescato?Due buoni segnali sono arrivati dai presidenti di Senato e Camera, Grasso e Boldrini, che nei loro discorsi di insediamento hanno fatto riferimento al carcere. Credo fermamente nelle misure alternative e in particolare nella "messa alla prova", perché ne ho verificato l’efficacia da avvocato. Una volta ho assistito il figlio di conoscenti accusato di un grave reato, ottenendo la "messa alla prova" con affidamento ai servizi sociali prima per 12 mesi, poi per 18. Quando l’ho rivisto, quel giovane era completamente cambiato: voleva riprendere a studiare e laurearsi in Giurisprudenza per fare l’avvocato penalista come me. Ecco come una misura applicata bene può veramente cambiare la vita di un ragazzo. Ma anche di un uomo o di una donna. Del resto si tratta di istituti ampiamente sperimentati, con successo, all’estero: in Francia e in Germania il 75% delle condanne viene scontato fuori dal carcere, da noi meno del 20%.Se dovesse lasciare un appunto sulla scrivania per il suo successore?Scriverei proprio questo: «Non dimenticarti del carcere». Penso che debba essere la prima cura di un ministro della Giustizia, in una situazione grave come la nostra.Adesso tornerà a fare l’avvocato?Tornerò soprattutto a fare il professore universitario, credo che travasare agli studenti questa mia esperienza da ministro sia molto importante e formativo per loro. Ne avverto l’urgenza, ho quasi paura di dimenticare qualche particolare e di non poterlo riferire: come si fanno le leggi, come si pensano le norme che incidono sulla vita di tutti noi. Oltre quello che studiano sui libri, c’è la vita vissuta.Ci salutiamo. Dalle pareti dell’austero corridoio del ministero ci osservano i ritratti dei precedenti Guardasigilli. Tra poco si aggiungerà anche quello di Paola Severino. E chissà che non venga appeso quello realizzato dal detenuto pittore.