Attualità

Intervista. Raggi: Roma non può essere un campo di battaglia. Salvini stia con me

Arturo Celletti giovedì 25 aprile 2019

Virginia Raggi (Ansa)

È un confronto su Roma e sull’Italia. Virginia Raggi a tratti dà l’impressione (o forse vuole solo darla) di essere davvero una persona normale. Non il sindaco più "social" del mondo, non il primo cittadino della capitale d’Italia sostenuto da un milione di follower. «Roma è potere. Un potere che abbaglia, che seduce, che piega. A me questa parte non piace. Io non amo le cene di gala e non mi vedo sulle copertine a colori dei magazine». Raggi parla di Roma con passione. «È tanto tutto insieme. È attrattiva. È una calamita, è il centro del mondo. E poi è ribelle, è coraggiosa, è solidale...». Quell’ultima parola ci trascina su una data: 25 aprile. La sindaca la declina a modo suo. Spiegando che Roma sarà con sempre gli ultimi e mai con i prepotenti. Che sarà con chi resta indietro. Sarà con le periferie piegate e arrabbiate. «Roma è orgogliosamente antifascista. E per me essere antifascista significa rimettere al centro l’uomo. Qualsiasi uomo. E significa trovare soluzioni a problemi complessi come quello delle periferie dove gruppi come CasaPound e Forza Nuova ingannano le persone con false promesse. Noi in quelle periferie apriamo asili e scuole. Qualcuno le incendia e le allaga. Noi le ricostruiamo».

«Roma voglio raccontarla con due parole: accoglienza e legalità. Voglio una città aperta. Generosa. Tollerante. Capace di declinare parole come integrazione e solidarietà. Ma anche una città inflessibile con la criminalità. Decisa a sfidare usura. Azzardo. Abusivismo. E a dire basta ai piccoli e grandi privilegi dei clan. Degli Spada a Ostia, dei Casamonica a Roma Est». Virginia Raggi ci trascina indietro all’alba del 21 novembre 2018. «Lasciai il Campidoglio alle 3 e 30 della mattina. Direzione Quadraro. Guardavo Roma di notte. Bella e triste. E pensavo: perché la politica è stata così tanti anni ostaggio della criminalità? Perché ha preferito quasi sempre girarsi dall’altra parte e molto spesso farci affari?». Sei ore dopo le ruspe abbattevano otto villette del clan Casamonica. «Non è stata solo una scelta simbolica. È stata una spallata al muro di omertà. Lo Stato finalmente ha detto "qui ci sono io" e i cittadini hanno capito. E, insieme a noi, hanno detto "basta Mafia capitale, basta connivenze tra la politica e un sistema malavitoso». C’è una domanda inevitabile: lei ha paura? La sindaca di Roma risponde senza pensare: «No, non ho paura. E invito i cittadini romani a non averne. Da soli non possiamo fare da argine, ma se lo Stato c’è i cittadini trovano coraggio». Parola dopo parola comincia a prendere forma la sagoma del destinatario di quei messaggi: Matteo Salvini, il ministro dell’Interno del governo giallo-verde. «È suo dovere stare al fianco di ogni sindaco nelle battaglie per la legalità».

Più volte l’attualità politica sembra imporsi. E più volte Virginia Raggi prova ad allontanare la lente dal caos politico che scuote il governo giallo-verde per fermarsi sulle potenzialità della Capitale. Per raccontare le luci che «cominciano ad accendersi» e le ombre che «cominciano a dileguarsi». La sindaca parla scandendo le parole e, a tratti, si coglie l’accento romano. Siamo in un piccolo salone affrescato in Campidoglio. Dalle finestre si vede la grandezza di una Capitale che ancora va piano. Sfidiamo Raggi con una domanda facile: è davvero impossibile governare Roma? «No, se la ami. E io la amo. È la città nella quale sono nata. Qui sono cresciuta. Qui sta crescendo mio figlio. Roma è una città complessa e bellissima. Ma per anni è stata abbandonata, saccheggiata, sfregiata. In Campidoglio ancora si vedono i segni delle sigarette spente sul pavimento». Parliamo per settanta minuti. Di programmi e di progetti. Dei rifiuti e dello stadio, della legalità e della corruzione. Dell’immigrazione e dei rom. E del 25 aprile e del suo significato.

Partiamo dalle ultime parole del ministro dell’Interno: dice che i debiti della Raggi non saranno pagati da tutti gli italiani ma restano in carico a lei...
I romani però hanno capito. Persino la politica ha capito e il Parlamento metterà a posto le cose. Resta però un retrogusto amaro: non c’è nessun "Salva Roma". Semmai c’è un "Salva Italia". Lo Stato non mette un euro in più, ma può e deve rinegoziare il mutuo con le banche e così garantire risparmi per 2,5 miliardi di interessi a tutti gli italiani. Io farei la stessa cosa per pagare il mutuo di casa mia. Voi fareste la stessa cosa. Gli italiani farebbero la stessa cosa.

Insisto perché la gente vuole capire: quei 13 miliardi sono debiti di Virginia Raggi?
No, sono debiti di chi ha governato fino al 2008. Sono dei vecchi partiti che spolpavano la Capitale. Non di Virginia Raggi. Non della giunta M5s. Io ho tenuto i conti del Comune in ordine e ho anche pagato 250 milioni di nuovi "buffi" fatti da Alemanno e Marino. Ma ora basta. Ora vorrei davvero voltare pagina. Vorrei davvero che Roma smettesse di essere un campo di battaglia. E vorrei dire a Salvini, ministro dell’Interno: facciamo squadra per vincere l’illegalità. È questa la sua missione.

Da dove si parte?
Si parte cambiando un modo di pensare. Niente più scorciatoie. Niente più favori. Niente più zone grigie tra affari e politica. Sa perché ci sono quei 13 miliardi sulle spalle di Roma? Perché non c’era un appalto che veniva assegnato con una gara e perché dietro ogni appalto c’era una tangente, un malaffare. La nostra linea è tempi più lunghi ma trasparenza totale. Poi occorrono norme più snelle: non possiamo lasciare i romani in ostaggio delle infinite burocrazie.

Cosa direbbe a Marcello De Vito se ora lo avesse davanti a lei? E che direbbe ai romani che hanno creduto nel Movimento e lo hanno visto barcollare come i vecchi partiti?
De Vito ci ha ingannati e questo non glielo posso perdonare. Umanamente ho provato dolore. Le foto dell’arresto mi hanno fatto male: nessuno merita la gogna mediatica. Ho pensato molto anche alla sua famiglia, ma, politicamente, De Vito ha fatto male al Movimento e il Movimento ha chiuso qualsiasi rapporto con De Vito.

Ma lo stadio si farà? O il fantasma della corruzione rischia ancora di comprometterne la realizzazione?
Lo stadio si farà e sarà una opportunità per Roma. Ci sono 800 milioni di investimenti privati e c’è un patto che verrà rispettato: prima saranno realizzate le opere per la comunità, poi toccherà allo stadio. Il percorso è segnato, i tempi decisi, l’iter amministrativo va avanti senza rallentamenti. Ma voglio che tutto sia fatto a regola d’arte e ho avviato una analisi ulteriore affidata al Politecnico di Torino: non era dovuta, ma l’ho fatta per dare maggiori garanzie ai miei cittadini. La corruzione? Ha provato ad infiltrarsi ma è stata respinta. Altri attacchi arriveranno, ma oggi abbiamo sviluppato gli anticorpi e siamo pronti ad alzare il muro. Seguiremo alla lettera le procedure. Guarderemo con la lente ogni gara, ogni appalto, ogni ditta. Solo così potremmo azzerare i rischi. E alla fine ce la faremo.

Crede che il governo gialloverde sia davvero al capolinea?
Credo che il governo si regge su un programma. Per noi quel programma resta la stella polare. Poi restano le sensibilità diverse. Alcune differenze sono nette. Profonde. Ma se è il programma a guidare le scelte, il governo va avanti.

I rom sono un problema?
Roma è di tutti. È questo essere davvero "città aperta" che la rende speciale. Con i rom abbiamo lanciato la nostra "terza via": abbiamo allontanato chi, magari con una Porsche parcheggiata davanti al campo nomadi, faceva finta di essere indigente; ma allo stesso tempo abbiamo offerto sostegno a chi era fragile e magari era ricattato proprio dai ricchi capi del campo. Abbiamo chiuso un campo nella periferia nord di Roma dando la possibilità ai bambini di andare a scuola. E a chi voleva di tornare nei Paesi da dove era venuto. Piccoli segni, ma la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e l’Unione Europea hanno apprezzato il nostro lavoro.

Ma i campi rom verranno superati? E con quale progetto?
A breve interverremo su altri due campi nomadi. Manderemo via i delinquenti e offriremo la possibilità di rifarsi una vita a chi si attiene alle regole della nostra società: lavori, paghi le tasse come tutti gli altri e, soprattutto, mandi i tuoi figli a scuola.

Un cancro mina le periferie di Roma: si chiama gioco d’azzardo.
Sì, un cancro che va abbattuto completamente. Servono i soldi? Bisogna fare cassa? No, prima c’è l’etica. Prima ci sono i drammi di migliaia di famiglie che l’azzardo ha messo in ginocchio. Prima c’è gente uccisa dai debiti. Io da sindaca ho stretto gli orari, ho allontanato i videopoker da scuole e chiese. Ma non basta. Serve una legge "impossibile" che vieti completamente l’azzardo. In ogni forma. In ogni pubblicità.

A giorni va in Aula il regolamento di polizia urbana e un tema è la prostituzione.
La linea sarà: pene per chi sfrutta la prostituzione, ma anche pene per chi se ne serve. Chi si ferma sulla Salaria e fa salire in macchina una ragazzina non può passarla liscia. Servono multe severe e serve soprattutto un percorso di reinserimento. Poi ogni tanto si riaffaccia il tema "case chiuse". Su questo voglio essere nettissima: case chiuse no, anzi mai più. Il corpo di una donna è sacro, non posso nemmeno pensare a uno sfruttamento legalizzato. Poi c’è chi continua a sostenere che sia un settore da regolamentare affinché anche le prostitute paghino le tasse. Questi non hanno etica e, soprattutto, fanno finta di ignorare che nei Paesi nei quali sono state aperte le cosiddette case chiuse o le zone di tolleranza, il fenomeno della tratta internazionale delle ragazze non ha subito alcun freno. La legalità passa anche da qui, occorrono provvedimenti forti e coraggiosi. Noi ci siamo.

Parliamo di rifiuti. La differenziata è ferma. Manager presi e cacciati e azienda nel caos. E solo sulla carta i progetti per nuovi stabilimenti, visto che nessun cantiere è stato aperto. Si ha sempre la sensazione che il male sia inguaribile.
Vedo anche due dei quattro impianti di trattamento dei rifiuti della città dati alle fiamme. Così come vedo un’isola ecologica e 600 cassonetti bruciati. E, parallelamente, vedo che noi romani non ci arrendiamo mai: abbiamo portato il nuovo "porta a porta" a 250mila abitanti in due municipi e lì funziona. Vorremmo estendere l’esperimento.

Non proverà a raccontarci la storia del complotto...
C’è un fronte che frena. Che rema contro. Che si oppone al cambiamento. Magari si tratta di coloro che per decenni hanno lucrato sui lavori stradali fatti male, su una gestione poco chiara dei rifiuti, sugli appalti senza gare. Io vado dritta con un sogno che mi tiene compagnia. Vorrei che si capisse quello che stiamo cercando di fare. Abbiamo trovato una città ferma, darei tutto per vederla correre come non ha mai corso.