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Migranti a Roma. Parla il vescovo Lojudice: sgomberi? È la logica del togliere di mezzo

Antonio Maria Mira giovedì 15 giugno 2017

«Su questi temi si vincono e si perdono le elezioni. È tristissimo, penoso, però è così...». È amara la riflessione di monsignor Paolo Lojudice, vescovo ausiliare del settore Sud di Roma e presidente della Commissione regionale per le migrazioni della Cei, sulle polemiche su immigrati e rom nella Capitale.

Si parla solo di numeri: «ne abbiamo troppi», «non ne avete presi abbastanza»...
È vero. E poi si parla sempre di sgomberi. Una parola che si usa per le macerie, per i rifiuti. Si sgombera una cantina. Non andrebbe usata per le persone. E invece è entrata nel linguaggio politico. Lo dissi anche anni fa alle precedenti amministrazioni: "Perché non cambiate vocabolario?". È un segnale che dice che c'è qualcosa da togliere di mezzo, da buttare. Ed è la logica che vedo anche oggi.

E invece?
Io insisto sempre sulla qualità del progetto. Mettiamo insieme le forze, mettiamo i cervelli migliori, per un modello di accoglienza e poi di inclusione dignitoso, arricchente e sostenibile. Ma non avviene quasi mai. Invece abbiamo i casermoni con diecimila alloggi, con tutti dentro, creando una "bomba" e la guerra tra poveri. Un dramma che vivono tutte le persone che si trovano in condizioni di disagio: rom, immigrati e italiani. La questione va affrontata insieme, la povertà deve essere vista nel suo insieme, poi ci saranno diversità organizzative. Penso a modelli alternativi, ai condomini solidali con una famiglia rom, un immigrato, un anziano solo, una coppia giovane che non ha i soldi per comprare casa.

A Roma c'è chi ha fatto affari su rom e immigrati. Ma gli scandali possono bloccare tutto?
Bisogna attivare un sistema di accoglienza che sia ben fatto, distinguendo la vera emergenza dall'accoglienza a lungo termine. Se la nave affonda io li metto anche su una zattera per non farli affogare. Però vedo un fastidio di fondo, un malessere che le società stanno vivendo, e non solo noi italiani che anzi siamo abbastanza bravi.

E la Chiesa? C'è chi la critica perché favorisce gli arrivi e chi la accusa di far poco o di farci i soldi.
La Chiesa fa tanto. Certo ogni tanto esce qualche scandalo anche nel nostro mondo, inutile nasconderlo. Ma penso ad altro, non alle grandi cooperative che vincono gli appalti, ma a una sorta di formicaio fatto di tante persone che danno una mano, magari a una persona, a una famiglia. Un piccolo mondo che sfugge. Ogni giorno trovo persone che fanno qualcosa senza che nessuno lo sappia. Dobbiamo metterli in rete per rendere più efficace quel che fanno.

A proposito dei rom: basta, come dice la sindaca Raggi, chiudere i campi?
Tutti dicono che i campi rom sono "non luoghi", come certi quartieri periferici dove ci sono esattamente le stesse dinamiche. Non bisogna mettere insieme persone che vivono gli stessi disagi, altrimenti si moltiplicano. Dunque vanno chiusi. Ma non basta. Servono percorsi di inclusione. Ce ne sono e andrebbero fatti conoscere. Ma ci vuole tanta fatica e tanta pazienza. E ognuno deve fare la sua parte: amministrazione, giustizia, volontariato.

Ma non si può dire che Roma non sia una città aperta.
Roma ha nel Dna, nella sua storia la dinamica dell'insieme. Non è una città chiusa. Ci sono sacche di opposizione, ma c'è anche un gran bene.