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Intervista. Ciceri: «Vi spiego perché in dieci anni potremo sconfiggere il cancro»

Vito Salinaro sabato 16 ottobre 2021

L’oncoematologo Fabio Ciceri, primario del San Raffaele di Milano

Si avvicina davvero una cura definitiva contro il cancro? Qual è il ruolo dell’immunoterapia nella lotta ai tumori? E che cosa s’intende per terapia genica? Dalla tecnologia Rna arriveranno vaccini anticancro? Sono alcune delle domande che trovano solide risposte nel libro “Come batteremo il cancro. Le sfide dell’immunoterapia e delle Car T” (in libreria dal 21 ottobre, Raffaello Cortina editore) scritto a quattro mani dal famoso oncoematologo Fabio Ciceri – primario dei reparti di Ematologia e trapianto di midollo e di Oncoematologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano e docente universitario –, e dalla giornalista e divulgatrice scientifica Paola Arosio. Il testo è concepito come un viaggio affascinante che fotografa e indaga le frontiere sempre più innovative delle terapie anticancro. Ma è un libro che contiene anche storie emblematiche di persone in lotta con la malattia, e che affronta i problemi della sostenibilità e dell’utilizzo universale delle terapie. La più evoluta delle quali, chiamata "Car T", è l’oggetto principale dell’intervista al professor Ciceri.

Il primo paziente curato (con successo) nel 2019, le speranze per le applicazioni della piattaforma Rna utilizzata nei farmaci antiCovid e il nodo dei costi delle terapie

Il 18 marzo 2019 è un lunedì piovoso a Milano. Il che non aiuta il morale di Carlo, 50 anni, ricoverato nel reparto di oncoematologia dell’Istituto nazionale dei tumori. Carlo ha un linfoma B a grandi cellule, un cancro aggressivo e ormai refrattario ad ogni terapia. L’équipe che lo cura ha deciso di sottoporlo ad un ultimo tentativo, un trattamento non ancora approvato, utilizzando un programma di accesso compassionevole.

Per la prima volta in Italia viene somministrata ad un paziente un’infusione con cellule Car T. Si tratta di una terapia anticancro rivoluzionaria che consiste nella riprogrammazione, in laboratorio, delle cellule prelevate dal malato stesso, “educandole” a riconoscere e uccidere il tumore. Con un’unica infusione il linfoma regredisce e Carlo viene presto dimesso. Senza il programma compassionevole, però, il trattamento sarebbe costato 400mila euro, centesimo più, centesimo meno. Costi e complessità della cura – che è individuale, cioè creata paziente per paziente e solo in centri ad alta specializzazione – rappresentano i limiti di questa innovazione che, al momento, sta dando risultati eccellenti nei tumori del sangue.

«Anche per ovviare al problema dei costi e sviluppare una cura potenzialmente efficace, la sfida è estendere ad una scala di tipo “industriale” questa immunoterapia “adottiva”». Lo auspica l’oncoematologo Fabio Ciceri, direttore delle unità di Ematologia e trapianto di midollo e di Oncoematologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano, e titolare della cattedra di Ematologia all’Università Vita-Salute San Raffaele.

Professore, nasce dunque da una sorta di sinergia tra immunoterapia e terapia genica la punta di diamante della lotta al cancro? E cioè le Car T?
Le dirò di più: in realtà abbiamo già degli strumenti per fare un passo avanti, e potenziare ulteriormente questa punta di diamante, come la chiama lei. Parlo del cosiddetto “editing genetico”, una tecnologia che può raffinare strumenti come le Car T, ovviando alle loro principali limitazioni, rappresentate ad esempio dal fatto di essere fortemente individualizzate.

Ogni paziente possiede cellule che, se trasformate in laboratorio, possono battere il cancro?
No. Ci sono pazienti che non hanno cellule abbastanza performanti da essere trasformate in Car T. Con l’editing possiamo però rendere disponibili per tutti questa opportunità.

Come funzionerebbe?
Sembrerà un controsenso ma dobbiamo “disarmare” queste cellule, nel senso che dobbiamo togliere dalle Car T dei particolari recettori, i cosiddetti “checkpoint”, che permettono a un microambiente tumorale di spegnere le funzioni immunologiche anticancro. In altre parole, dobbiamo togliere i freni alle Car T. Con l’editing, oggi disponibile, possiamo farlo.

È questo il futuro dell’oncologia?
Il futuro è arrivare alle applicazioni dell’editing genetico di queste cellule, che le renderà strumenti molto potenti, controllabili e universalmente disponibili perché potremo agire su un sistema di scala e soddisfare anche i bisogni delle nazioni meno ricche.

Oggi le Car T si rivelano vincenti nei tumori del sangue. Quando lo saranno nei tumori solidi?
Quando impareremo a rimuovere i checkpoint inibitori che, al momento, rendono molti tumori solidi refrattari e insensibili all’immunoterapia. Solo allora il cancro sarà aggredibile dal sistema immunitario, e quindi dalle Car T.

È il decennio giusto per arrivare a questo straordinario risultato?
È il decennio cruciale. Perché o dimostriamo di poter estendere le nuove terapie anche a tumori di alta frequenza e a quelli non curabili, oppure, dal punto di vista del rapporto costi-applicabilità, la terapia si rivelerà fortemente limitante. Ci aspetta il passo finale, cioè far diventare le Car T una terapia di vasta applicazione, che permetta di superare le attuali limitazioni economiche, tecnologiche e biotecnologiche.

Ma alcuni risultati importanti l’immunoterapia li ha già raggiunti...
Con il melanoma metastatico 15 anni fa si sopravviveva pochi mesi. Oggi ci si può convivere per 10 anni e oltre. Ma è un discorso che possiamo trasferire alle leucemie acute e croniche: la combinazione di nuovi farmaci intelligenti ha cambiato l’esistenza a pazienti che venivano curati essenzialmente con trapianti allogenici, potenzialmente anche rischiosi. Con le nuove terapie orali le probabilità di sopravvivenza a lungo termine sono aumentate del 90%. E a prezzi contenuti.

Crede alla possibilità di utilizzare le piattaforme Rna servite nella pandemia per creare vaccini anticancro?
La piattaforma Rna è estremamente promettente perché si è dimostrata efficace nel generare una risposta immunologica specifica in una malattia come il Covid-19. Il suo grande vantaggio è la versatilità, potenzialmente potrebbe essere sfruttabile per generare risposte immunitarie vaccinali contro qualsiasi forma di struttura di cui esista una espressione sulle cellule. Perché l’Rna è il prodotto intermedio tra Dna e proteine: con un vaccino Rna posso trasferire questo prodotto e indurre risposte immunitarie robuste contro le cellule maligne. È un po’ come avere una buona macchina del caffè a capsule, in cui scelgo io la capsula da inserire, quindi scelgo io l’Rna in grado di suscitare l’arma specifica ad alta efficienza. Significa andare a stimolare, nel paziente, una risposta vigorosa contro il suo tumore, o di quello che ne resta dopo la riduzione della massa per via chirurgica o chemioterapica.

Quella che ci descrive sembra molto più di una speranza.
Quando, all’inizio degli anni ’90, guardavamo al trapianto di midollo da donatore come a una pratica eccezionale e limitata a pochi numeri, non avremmo mai immaginato che, 30 anni dopo, l’applicabilità sarebbe stata superiore di almeno 100 volte, e che avremmo trapiantato anche anziani o persone con malattie più avanzate… Oggi, proprio come accadeva allora, le terapie Car T sono applicabili in pochi casi. Ma continuando ad investire nell’immunoterapia e facendo un salto di scala nell’applicazione clinica, nutriamo la speranza che tra pochi anni saremo in grado di spalancare le porte ad una terapia sostenibile. E, soprattutto, definitiva.