Attualità

INTERVISTA. Beretta: «Parleremo a tutte le sensibilità perché il bene comune è trasversale»

Lucia Bellaspiga lunedì 8 luglio 2013
La sfida più ardua? «Parlare alle diverse sensibilità di tutte le persone, rendendo ragione dell’esperienza familiare come patto eterno, duraturo, tra un uomo e una donna, aperto alla generatività». Simona Beretta, docente di Economia internazionale alla Cattolica di Milano, dal 2007 è membro del Comitato scientifico organizzatore delle Settimane Sociali: «Diversità e generatività sono gli elementi dinamici che permettono di generare una società e generare un futuro – spiega –, e per questo c’è bisogno di un uomo e una donna. La scienza non imbroglia, sappiamo bene che un adolescente sereno e un adulto creativo provengono da un’accoglienza e da un amore».È possibile ragionare della famiglia come bene comune, coinvolgendo in un dibattito sereno e onesto anche le forze ideologicamente lontane?È il nostro tentativo. Sul tema famiglia noi cattolici siamo accusati di essere retrò a pagina due, poi a pagina tre della stessa rivista femminile c’è l’articolo che parla del "feto che nel pancione sente la voce della mamma"... Decidiamoci: siamo retrò o non siamo piuttosto avanti anni luce, perché dentro questo rispetto ammirato della realtà la sappiamo far fruttare molto più di chi la vede solo come un proprio prodotto? Sì, la sfida è ardua e le resistenze non sono solo fuori del mondo cattolico.In che senso?Mi riferisco a chi preferirebbe desistere e dice «non parliamo più di famiglia perché il mondo oggi non ci capisce più». Invece il nostro dovere è fare il grande sforzo di parlare a tutti, certi di dire cose importanti.Quali gli strumenti?Recuperare quel patrimonio che già abbiamo ed è condiviso: quel "favor familiae" che senza dubbio alcuno la Costituzione italiana propone e che quindi le riviste accolgono anche "a pagina due". È il matrimonio repubblicano quello che noi difendiamo, pur senza nasconderci le difficoltà che veramente sussistono.La nostra società sembra perdere le sue certezze a causa di una grande confusione antropologica, che mina alla base anche la famiglia. Come superare questa crisi?È vero, dobbiamo preoccuparci di tenere insieme la società tenendo insieme la famiglia, ma ancora più in profondo c’è la frammentazione dell’io. C’è scissione tra sesso e amore, tra le tante me stessa in tutte le dimensioni... Uno si alza la mattina già scisso. Invece dobbiamo affermare chiaramente che è possibile vivere una vita intera, e felice, pur con tutte le difficoltà del quotidiano. Se non sapremo documentare questo, le Settimane Sociali sarebbero irrilevanti.Non pensa che l’intera società civile, e non solo i cattolici, dovrebbe sentire come prioritaria questa urgenza e difendere la generatività della famiglia?Questi temi sono tutt’altro che esclusivi del mondo cattolico, hanno anzi dignità scientifica uguale se non maggiore delle altre visioni che sono in circolazione. A me, come docente universitaria, interessa far conoscere ai giovani il brillare inconfondibile del vero, che a un adolescente che ama è chiarissimo, perché il giovane vuole amare per sempre.Eppure ciò che per noi è lampante, ad esempio che per fondare un matrimonio ci vogliono un uomo e una donna, non lo è per tutti... Perché?A causa di una cultura che è bacata e inadeguata, e che appartiene alla classe dirigente, quella che fa più fatica. Il discrimine culturale è molto chiaro: l’unica che abbia rilevanza pubblica è la famiglia fatta da un patto uomo/donna e aperta al generare. Le altre convivenze sono rispettabilissime, ma non sono soggetto pubblico. Così come la coppia eterosessuale che sceglie di non avere rilevanza pubblica e pensa che il convivere siano «fatti miei» e quindi giustamente non si sposa. Rilevanza pubblica, però, l’ha sempre il generare: matri-monio e patri-monio, ossia la tutela del generare e dei beni materiali, sono da sempre la cifra di come è organizzata una società civile.Cosa chiederete alla politica?Ribadiremo l’idea – costituzionale – che la tassazione dev’essere proporzionata alla capacità contributiva. Non si può continuare a pensare che dove si vive in sei con uno stipendio solo si abbia la stessa possibilità di chi non ha figli: c’è un pezzo di Costituzione che non stiamo applicando!​​​​