Attualità

IL GIURISTA. «È un simbolo di valori entrati nella Costituzione»

Giovanni Ruggiero venerdì 18 giugno 2010
La Grande Camera della Corte dei Diritti dell’uomo di Strasburgo non può negare l’esposizione del Crocifisso senza negare la sua stessa giurisprudenza. Ne è convinto anche un giurista come il professore Giuseppe Dalla Torre, rettore della Lumsa.Professore, intanto, in casa nostra: il Crocifisso è contro la Costituzione?Nel nostro ordinamento non c’è nessuna illegittimità costituzionale; l’esposizione del Crocifisso è prevista anche in atti normativi, sia pure non legislativi, risalenti all’Ottocento. Non è, in particolare, una violazione della libertà religiosa perché è sì un simbolo religioso, ma è un simbolo passivo: non obbliga nessuno a un atto di fede. Questo è un punto fondamentale. È forse in contrasto con il principio della laicità?Nemmeno, perché l’esposizione pubblica riflette l’identità della nostra società. È l’espressione di una tradizione e di una cultura che non è soltanto una cultura informata religiosamente: è incarnazione di alcuni valori che sono entrati tra l’altro nella nostra Costituzione: penso al valore della solidarietà. A questa tradizione fa infatti riferimento la presidenza della Conferenza episcopale italiana.È stato anche detto che il Crocifisso è il riflesso di uno dei caratteri di identità dell’Italia.Non c’è dubbio. Anche laicamente, in relazione al nostro contesto culturale, che certamente è differente da mondi molto lontani da noi, il Crocifisso riflette alcuni valori che per noi sono fondamentali. Alla solidarietà aggiungerei anche l’accoglienza. Il Crocifisso non è simbolo di esclusione.Non è neanche un simbolo di qualcosa che offende...Rinvia, infatti, a un atto di amore: amare anche i nemici, anche coloro che ti hanno preso a schiaffi, quindi è un invito alla tolleranza, all’accettazione anche di chi ci è ostile ed è diverso da noi. È un simbolo che incarna una serie di valori fondamentali della nostra tradizione e del nostro ordinamento. È un simbolo di pacificazione, non certamente un simbolo di guerra.La Grande Camera fino a che punto può negare questo sentimento diffuso nel nostro Paese?Credo che non lo possa fare in base alla sua precedente giurisprudenza. Non la sentenza contro la quale si ricorre, che è sostanzialmente una contraddizione, ma in base a precedenti giudicati. La Corte è stata sempre attenta a non toccare quelli che sono gli elementi caratterizzanti dell’identità di ciascuno dei popoli che fanno parte di questa grande realtà europea, che non è la Ue, ma è più estesa e di cui fanno parte tutti quei Paesi che aderiscono alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Non lo può fare per il principio di sussidiarietà, nel senso che non si può imporre a livello universale soluzioni che rispondono alle esigenze di una determinata società. Questa idea risponderebbe alla concezione di uno Stato che impone una sua identità. L’idea che muove il principio della sussidiarietà è quella di una società civile che ha una sua identità e al servizio della quale è lo Stato. Penso però che da questa vicenda non tutto il male viene per nuocere.In che senso, professore?Ha portato a una reazione a livello molto esteso, che riprende in senso positivo e rilancia la problematica delle radici cristiane europee, di cui tanto si è discusso tempo fa.