Attualità

Intervista. Giannini: «Le nuove norme funzionano»

Vincenzo R. Spagnolo lunedì 27 aprile 2015
«N’on c’è un solo tipo di minaccia...». Su livelli di allerta o presunte ipotesi di attentato («Sulla vicenda relativa al 2010 in Vaticano, non ci sono riscontri certi, altrimenti sarebbe stata nei capi d’imputazione») il direttore del Servizio centrale antiterrorismo della Polizia Lamberto Giannini non si dilunga. È un investigatore pragmatico e, per lui e i suoi colleghi, l’attenzione è sempre al massimo livello.La rete qaedista smantellata in Sardegna è accusata di stragi cruente in Pakistan. Avete colto segnali di saldatura con nuove realtà estremiste come l’Is?Non in quell’indagine. Ma certo, nella galassia internazionale, si colgono segnali di presunti avvicinamenti fra alcuni gruppi: è un magma su cui bisogna vigilare. In Italia bisogna poi prestare attenzione alla presenza di elementi radicali che ambiscono a partire come foreign fighters. Chi torna con un addestramento militare può rappresentare una minaccia. Perciò abbiamo fermato un tunisino 27enne nei giorni scorsi a Ravenna, ancor prima che si arruolasse nell’Is.Una misura preventiva resa possibile dalle nuove norme.È importante che il Parlamento abbia convertito in legge il decreto. Oltre a pene severe per chi si arruola, fissa misure preventive necessarie.Il numero dei foreign fighters partiti dall’Italia è aumentato?Siamo a una settantina, fra coloro che in anni passati erano andati a combattere in formazioni non jihadiste contro le truppe di Assad e quelli entrati nell’Is o in altre milizie integraliste.Nel Comasco avete ritirato il passaporto a un 19enne d’origine tunisina nato in Italia. Un’altra misura del decreto...Ripeto: sono norme importanti. Le indagini su una cellula di reclutatori albanesi avevano svelato la sua intenzione di recarsi all’estero per unirsi all’Is. Inoltre, in chiave preventiva, ci sono segnali di pericolosità sociale che non si possono sottovalutare. Ed è per questo che all’attività di polizia e magistratura vengono affiancate le espulsioni di soggetti che, pur non avendo compiuto reati, hanno già mostrato vicinanza a ideologie radicali...Vigilare su Internet e sui social network vi aiuta?Si possono cogliere avvisaglie di radicalismo anche su Facebook o in una chat. Tutte le attività info-investigative sono preziose e i dati raccolti vanno messi in comune per provare a decifrarli. Perciò ogni settimana si riunisce, presso il ministero dell’Interno, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo.Quali altri segnali non vanno sottovalutati?Tutti, anche quelli più flebili. Penso agli ambienti radicali esistenti in alcune carceri, a come potrebbe essere facile per qualche integralista carismatico affascinare soggetti reclusi per piccoli reati e dal carattere fiaccato da una vita "sbandata" o dal consumo di alcol o droghe. Perciò, non solo bisogna vigilare dentro gli istituti di pena, ma anche dopo, quando quei soggetti escono...La sfida più difficile resta quella d’individuare per tempo i "lupi solitari"?Se una cellula di estremisti, per quanto ristretta, avrà sempre contatti fra gli appartenenti, gli estremisti fa-da-te che si indottrinano e si autoaddestrano su Internet o a casa loro potrebbero non aver contatti con nessuno prima di un azione. Anche nei loro confronti, le nuove norme fissano pene severe...Vi capita di riscontrare omertà? Possibile che, nelle comunità islamiche, nessuno si accorga di mutamenti radicali nelle abitudini di individui o piccoli gruppi?C’è il silenzio di un familiare stretto o di chi condivide coi presunti estremisti traffici o attività illegali. Ma c’è anche la collaborazione di alcuni. È una delle chiavi di volta, insieme allo scambio di notizie fra polizie, per individuare in tempo gli elementi radicali.